venerdì 8 giugno 2012

Cronaca de 'na giornata storica

Me so’ svejato alle 9,15. Precise.
Pare ‘na giornata come le artre: mi’ madre che esce da casa quanno dormimo tutti; un fratello che se sveja, un po’ così, e se ne va’ a scola. Ar Tuscé.
Io che bestemmio contro ‘a sveja e de otto minuti in otto minuti me arzo dar letto un’ora dopo.
Ma questa nun è ‘na giornata come le artre. E nun lo po’ sape’ quer fratello che se la dorme tranquillo; e nun lo po’ immaggina’ quell’artro che come ogni mattina è salito ‘n macchina direzione Bruno “qua’a scola demmerda” Touschek.
Me svejo, me arzo, me do ‘na sciacquata così, tanto pe’ nun sentimme ‘no schifo. Esco.
Imbocco la via do’o stadio e sento du’ stronzi che esurtano pe’ un gol, subito surclassati da un grido: un grido che ariva dritto ar còre.
Sargo, chiedo ‘nformazioni. 1 a 1.
Daje. “Ma tanto mo ce se ‘nculano”, dice quarcuno. “Tanto mo ce ne fanno n’artro”, dico io.
Ma nun ce credo.
E infatti manco er tempo de sbracasse ar sole che l’ultimo arivato de’ la famija Botti, er Botticelli, ce pennella ‘na palla d’oro ‘n mezzo all’area.
La butta là. Co quer fare strafottente che contraddistingue ‘sti giovani d’oggi. “La butto là”, dice, “poi fate vobis”.
Er caso vòle che quer motorino co’ ‘e gambe de Taraborelli (mentre svernicia un ignaro aspirante scienziato che se credeva de venisse a fa’ ‘na gita fòri porta), come la Venere che ciccia fòri da ‘na conchiglia ‘nmezzo ar mare, lui ciccia fòri dar secondo palo e ‘nsacca ‘na palla che nei cuori de chi ‘nquer momento stava a pijasse er cardo su’i spalti vordì tante cose; ma in finale vordì ‘na cosa sola: “Aò, oggi je famo ‘rculo”.


giovedì 7 giugno 2012

Core e pormoni


Core e pormoni, come si direbbe a Roma e perché no, nei nostri amati castelli: la formula perfetta, le due parole che riescono a sintetizzare tutta la grinta e tutta l’emozione di una giornata come quella del 7 giugno 2012.
Una partita giocata in campo e sugli spalti con la stessa intensità e la voglia di vincere, poi concretizzate in una vittoria che mancava da veramente troppi anni. Ci credevamo, fin dall’inizio, e non ci siamo mai sbagliati; nemmeno per un istante abbiamo dubitato dei nostri eroi e alla fine abbiamo dimostrato di saper essere più del semplice sostegno di una squadra, più di un mucchio di studenti urlanti a sostenere i propri compagni. Le parole sono poche.
Quella che trovo, per oggi, è una ed una soltanto: spettacolo.
 Era tanto che aspettavamo l’occasione e i nostri avversarsi contavano nella quinta vittoria consecutiva, nella manita a cui tanto aspiravano. Un coro, uno dei tanti di fine partita, ha reso la nostra ben chiara idea di dove quella manita dovesse andare a finire.
Ma al di là dello sfottò e delle urla c’era altro, c’era la voglia di farsi sentire e di farsi vedere come un grande gruppo unito. Sul campo si è sudato sangue, dagli spalti siamo usciti senza voce ma con tutta la forza di sostenere i nostri compagni vittoriosi.
Tanti erano quelli che definiremmo capi ultras per lo sforzo impiegato nell’organizzare una coreografia ed uno spettacolo d’eccezione e li ringraziamo, così come ringraziamo tutti, tutti, nessuno escluso.
Come dimenticare un Edoardo Giammarioli, che correva qua e là ad attaccare striscioni e ad incitare il pubblico; o un Alessandro Montesi indiavolato e coperto dei colori bianco e azzurro della nostra squadra; o soprattutto un Ludovico Oddi, con un animo infervorato cento minuti su novanta passati ad alzare cori e ad organizzare le coreografia?

martedì 5 giugno 2012

Fatti non foste a viver come bruti

Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell'abisso, inferno o cielo non importa. Giù nell'ignoto per trovarvi del nuovo.
                                                                                                       Charles Baudelaire

C’è una linea sottile che unisce l’uomo e il progresso, una linea sottile che lega personaggi come Dante, Giotto, Leonardo o Boccaccio: è l’ardore della conoscenza, la frenesia di travalicare i limiti imposti dalla tradizione. Questa frenesia fatta di frasi, scoperte, idee altro non è se non il basamento del nostro presente; quella smania di sovvertire l’ordine costituito è il motore primo del progresso. E’ proprio dell’uomo infatti essere sempre protratto in avanti verso un orizzonte di novità, è proprio dell’uomo non accontentarsi mai delle risposte che già possiede, ma ricercarne sempre altre per le domande che continuamente si pone; già Cicerone scriveva infatti “Dunque è tanto innato per noi l’amore della conoscenza”.
L’esempio più lampante e significativo di questa visione umana si materializza nel XXVI canto dell’Inferno della Divina Commedia, comunemente chiamato “Il canto di Ulisse” che appare come un ritratto dell’uomo in generale. In esso Dante non condanna l’astuzia di Ulisse, né il suo utilizzo a tratti amorale, ma la sua innata e insaziabile sete di conoscenza tanto elevata da scontrarsi con il Divino. Per Ulisse, che dunque diviene paradigma del genere umano, “l’ardor del divenir del mondo esperto” è talmente forte da non trovare degna opposizione né nell’amore per la moglie, né nella pietà per il padre o nella dolcezza del figlio; ma la sua “follia” accecata dalla sete di conoscenza lo induce verso un viaggio fatto di pericoli e scoperte.

lunedì 4 giugno 2012

Sono solo parole

Romanzo a puntate - Parte II

Nel vento c’era quel pungente profumo di un inverno appena accennato, a terra una coperta di foglie fradice. Dietro l’angolo, il nuovo anno incalzante. Da qualche parte, l’estate appena trascorsa. Camminavo a passo svelto, il volto infreddolito nascosto nel cappuccio, la musica sparata nelle orecchie, la mente ancora addormentata, sconnessa, confusa nei suoi continui pensieri opprimenti,
soffocanti ma, nel profondo, sotto una spessa coperta di vergogna e di paura che non osavo sollevare, dolci, dolcissimi. Incompresi, in primis da me stesso. Ma dolci, terribilmente dolci. Dire la verità, essere onesti, per alcuni è uno dei migliori pregi che l’essere umano possa avere. Io, invece, volevo una bugia qualsiasi, una qualsiasi cazzata, tutto fuorché la verità.
La fermata era, come sempre, gremita di persone. Ragazzi persi dietro il fumo di una sigaretta, una donna anziana con le cartelline delle analisi strette al petto, ragazze sorridenti con le bocche già piene di chiacchiere. “Sperare che domani arrivi in fretta e che svanisca ogni pensiero lasciare che
lo scorrere del tempo renda tutto un po' più chiaro." Un po’ più chiaro.
-Ti voglio bene. <3 -  diceva un sms appena arrivato da Barbara. Svanisca ogni pensiero.
Bloccai per un attimo l’i-pod.
L’incessante e assordante rumore del traffico, così vuoto nella sua frenetica monotonia di ogni mattina, avvolgeva come una cappa la città, ma quel rumore confuso, insensato e ripetitivo nella sua noiosa insensatezza era per me rassicurante, come le parole di una ninna nanna ripetute all’infinito finchè, quando ormai si è caduti nel mondo confuso del dormi veglia, perdono il loro significato.
Play. “Sono solo parole parole parole, parole e ora penso che il tempo che ho passato con te
ha cambiato per sempre ogni parte di me.”
-Ti voglio bene anch’io. <3 -
Dal finestrino sporco e appannato dell’autobus scorrevano tante immagini senza senso, veloci, colorate, sfocate. Poi, piano piano, alberi, case, persone. E di nuovo confusione, colori, linee e macchie senza forme. Dopo la terza fermata salì Damiano, il viso arrossato dal freddo immerso nella sciarpa blu, i capelli neri, corti, leggermente alzati dal gel appena sopra la fronte, gli occhi scuri e svegli che cercavano in silenzio un posto libero. “Siamo troppo distanti distanti tra noi ma le sento un po’ mie le paure che hai vorrei stringerti forte e dirti che non è niente posso solo ripeterti
ancora sono solo parole par.. I got a hangover, wo-oh! I’ve been drinking too much for sure I got a hangover, wo-oh!”
-We Marco!-
-Oh Da! Ti ho tenuto il posto.-
E si sedette accanto a me, dandomi un pugno leggero sulla spalla, così, per scherzare. Così, come due amici. Come due fratelli. Ricambiai con un sorriso. Così, come un amico…