martedì 30 aprile 2013

L'odore del piombo

Nessuno di noi ragazzi ha in mente, per averlo vissuto direttamente, il periodo degli anni di piombo e delle stragi di Stato; di certo ne abbiamo sentito parlare e abbiamo avuto modo di capire cosa sia successo in quegli anni macchiati di sangue dalle stragi di Milano, Brescia o Bologna.
Erano, parafrasando Guccini, gli anni in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti, quando gli equilibri geopolitici mondiali e la logica dei blocchi contrapposti influenzavano così tanto la nostra politica interna che, ancora oggi, molti aspetti delle stragi di Stato e della strategia della tensione ci rimangono sconosciuti per via dell'implicazione di forze tali da calare una cortina di silenzio in grado di annullare anche il fragore delle bombe.
Ieri, quando ci siamo svegliati con le immagini di Luigi Preiti che sparava davanti a Palazzo Chigi, forse abbiamo iniziato a capire cosa significasse vivere in quegli anni, con la paura di recarsi in banca o di prendere il treno. Di certo il clima di oggi è diverso: il crollo del muro e la fine del regime sovietico, che per molti rappresentavano la vittoria del modello di sviluppo capitalista e anticipavano un'era di progresso liberista, per noi italiani non erano altro che il preludio allo scandalo di Tangentopoli e alla fine della cosiddetta Prima Repubblica.
Per una repubblica giovane come la nostra, di soli 67 anni, 40 Presidenti del Consiglio sono davvero troppi, considerando che di norma si tratterebbe di una carica quinquennale: la crisi che viviamo oggi, però, non è solo politica. E' una crisi istituzionale, una crisi sociale, anche una crisi culturale. Non è solo la crisi di un sistema statale che non ottiene più fiducia, è la crisi di un ceto medio che si sta, neanche troppo lentamente, assottigliando fino a sparire.
Fortunatamente ancora non siamo ai livelli critici, a quei livelli in cui le persone comuni scenderanno nelle piazze e bloccheranno intere città - non ci siamo ancora arrivati, basta guardarsi un po' intorno e vedere quante persone girino coi vestiti firmati e con l'iPhone e quante famiglie possiedano più di due automobili. La strada, in ogni caso, l'abbiamo imboccata e la stiamo percorrendo a gran velocità, finchè non ci ritroveremo a sbattere contro un muro e a realizzare che sono più quelli che stanno male, rispetto a quelli che stanno bene.
Ci vorrà del tempo. Intanto, però, c'è chi il disagio lo sente e lo manifesta: non nella maniera più efficace, magari, ma lo manifesta.

lunedì 22 aprile 2013

Nostalgia

Dopo tanto tempo, si ritorna a scrivere in questa rubrica. Scusate la lunga assenza, dovuta a problemi personali, ma l'importante è ricominciare, no?
Dopo aver trattato argomenti quali la morte, la felicità e la libertà, oggi mi piacerebbe parlare di un'emozione che rende l'uomo debole, quasi ad inibire completamente il suo animo e la luce che porta negli occhi: la nostalgia.
Dal greco νόστος (ritorno) e άλγος (dolore): "dolore del ritorno", la nostalgia getta l'uomo in uno stato psichico di tristezza ed impotenza, quasi sempre dovuti alla lontananza da persone e/o luoghi ed eventi cari che l'individuo vorrebbe poter rivivere, idealizzandoli. Come ho detto qualche parola fa, la nostalgia è un'emozione paralizzante: quanti hanno provato sentimenti intrisi di una vena nostalgica, oramai lontani da noi, per poi ritrovarsi seduti da parte, fissi nel vuoto di un ricordo che (forse) non tornerà più? Credo che tutti abbiano sperimentato una sensazione tale da potersi fermare un secondo a riflettervi. E chiunque lo avrà fatto, si sarà sentito di nuovo chiuso in una gabbia le cui pareti sono costruite di impotenza e tristezza; in alcuni casi, infatti, la nostalgia sfocia in manifestazioni di carattere patologico.
Cos'altro serve per delineare la potenza di questo sentimento? La nostalgia è una sensazione dominante, che ti assale senza preavviso e ti getta in un mare di insicurezza, dove anche il più potente tra gli uomini annegherebbe, da solo. Qui l'onnipotenza e la supremazia nell'universo dell'uomo va a farsi fottere per colpa di qualcosa che abbiamo dentro, schiavizzati da un ricordo che non vuole abbandonarci. Esempio per eccellenza ne è la morte di uno dei nostri cari: tutti i momenti belli passati insieme ci strappano un sorriso che subito viene bagnato da una lacrima, che ci avverte.. Ci dice che quello è il passato e che davanti ai nostri occhi lucidi c'è il futuro, incerto e tortuoso. E che quei ricordi non torneranno mai più.
E l'uomo cosa può fare? C'è chi si dispera e non reagisce, c'è chi rimane in silenzio e vorrebbe solo piangere in riva al mare affinchè lì le sue lacrime non possano essere notate da nessuno tranne che dal mare stesso, sempre più grande e scuro, macchiato dalla paura del domani e dal dolore per ciò che è passato; ma c'è anche chi decide di affrontare la nostalgia e di affidare le lacrime ad un fazzoletto, pensando che il tempo non può fermarsi in quel vuoto che i ricordi del passato portano con loro, ma che esso va avanti, inesorabile. E che quella nostalgia sarà lì, a tenergli compagnia nei momenti di solitudine. Perchè è questo ciò che l'uomo può fare: rimanere imprigionato in questa gabbia di impotenza e tristezza, stretto dal dolore per il passato che non tornerà più, oppure sorridere a questo e prendere quella nota malinconica che è la nostalgia come pretesto per ricordare chi si è stati e continuare ad essere ciò che il passato vuole portare via con se tra le scure ed infami braccia del tempo che scorre.

Andrea Pietrangeli, IIC

venerdì 19 aprile 2013

VIGAMUS, il museo del videogioco

Inaugurato lo scorso Ottobre, “The Video Game Museum of Rome”, per gli amici “Vigamus”, è un grazioso locale di circa 1000 mq situato nel centro di Roma, che offre a tutti i nerd, geek e gamers (tre categorie differenti per chi non lo sapesse!) la possibilità di scoprire i leggendari protagonisti dei videogiochi più celebri e le loro bizzarre avventure, di visitare mondi differenti e sperimentare un vero e proprio viaggio nel tempo dagli anni ’80 fino ad oggi.

All’interno del Museo possiamo trovare ben 63 pannelli illustrati in italiano e in inglese, intere pareti dedicate ai cult del passato, oltre 150 pezzi originali in esposizione tra console e giochi d'epoca e infine, *rullo di tamburi*, un'area interattiva per sperimentare la storia del videogioco con le proprie mani!

La missione di VIGAMUS è fare cultura e rendere il videogioco accessibile a tutti, specialmente a chi si avvicina per la prima volta a questo fantasmagorico universo. Patrocinato da Roma Capitale e principale progetto dell’Istituto Culturale AIOMI, è entrato a far parte di ICOM, (Interntational Council of Museums) l’organizzazione non governativa associata all’UNESCO e impegnata a preservare e divulgare il patrimonio museale nazionale.
Patrimonio del quale, tra l’altro, possiamo godere solo qui a Roma (VIGAMUS è l’unico Museo del Videogioco in tutta Italia!). 
 
Ma non è finita qui! VIGAMUS è un museo e molto di più: all’interno ospita regolarmente esposizioni temporanee, conferenze, seminari e mostre artistiche dedicate ai giochi del momento, ai loro eroi e ai loro geniali ideatori. 

Dunque, cari amanti dei pixel, vi invito ad approfittare dell’occasione per  (ri)percorrere la storia e l’evoluzione di questa forma d’arte giovane ma dall’illustre passato.

Sito ufficiale:
www.vigamus.com


Cristina Ionne, IID

venerdì 5 aprile 2013

The Wall: We don't need no alienation (?)

I muri sono davvero crollati?

Viviamo nel mondo in cui sembra di non essere mai soli, quello in cui possiamo condividere la nostra vita in tempo reale con quasi tutto il mondo, ma davvero possiamo dire di aver buttato giù il muro dell’alienazione? Abbiamo avuto modo di conoscere l’alienazione delle famiglie chiuse nelle loro case dai racconti delle due guerre mondiali, l’alienazione di quei popoli oppressi da forme di dittature (la Spagna franchista, la Germania di Hitler, la Romania di Chauchesku, il Cile di Pinochet…) che da alienazione civile diventa alienazione personale per la mancanza di libertà imposta ai cittadini (opprimente per chi ne sente la necessità). Una riflessione profonda su questi concetti è portata avanti da Roger Waters nell’album “The Wall” dei Pink Floyd attraverso la vicenda personale del giovane Pink. 
Pink è una rock star che sta per calcare il palco del suo grande, enorme concerto, l’acme del suo successo. Partecipano milioni e milioni di ragazzi, una folla delirante, confusa, che sembra non capire proprio che la musica, in realtà, è ascolto, passaggio complesso di emozioni tra chi compone e chi si lascia trasportare dalla melodia. Al pubblico tutto questo sfugge, Pink vede una folla bestiale, una folla alienata. Alienazione è la condizione di tutti quanti: di Pink, che sente che il suo lavoro, per quanto “partecipato” è tutt’altro che capito, e della folla, chiusa nel solo pensiero di fare casino. Perché deve salire su quel palco? Siamo tutti alienati, nessuno quasi si accorge della presenza degli altri. Perché siamo alienati? La vita umana è in realtà una corsa al condizionamento scandita da tappe fondamentali che sono i “mattoni” del muro della nostra alienazione. Partendo dalla sua infanzia, Pink riflette sul momento in cui il “thin ice” degli affetti stabili costruiti dalla sua famiglia non è stato più in grado di sorreggere il peso del bambino ormai cresciuto, cioè del bambino che pensa. Alla luce del pensiero si rivelano tutte le costrizioni sociali che creano l’isolamento dell’individuo che nemmeno si accorge di essere un alienato, lo prende come un dato di fatto senza darci troppa importanza e che, anzi, trova necessario farlo. Risuona spesso la frase “all in all it was just a brick in the wall”, dopotutto è solo un mattone nel muro.