Come la classicità unisce
l’Italia attraverso Milano, Roma e Napoli
Quando
la mia professoressa di latino e greco mi aveva presentato il bando di gara del
certamen Premio Mocci Cosenza 2014
con la possibilità di parteciparvi, sul banco vedevo solo un pacco di fogli e
scartoffie, mai mi sarei immaginato di vivere una delle esperienze più
divertenti e formative che cinque anni di liceo classico mi avessero mai
proposto. Quando ho comprato tramite internet due biglietti del treno per
andare e a Napoli e tornare a Roma, sullo schermo del computer vedevo soltanto
l’indicazione di un numero di un treno, di un orario, di una stazione, di un
vagone, mai avrei pensato di star guardando i biglietti per vivere tre giorni
fantastici con persone meravigliose. Ma andiamo con ordine.
Era
gennaio quando avevo dato la mia disponibilità a partecipare al certamen Premio Mocci Cosenza 2014
organizzato dal blasonato liceo classico napoletano Umberto I. Il tempo passava
con le stagioni a passo di giava e così, dopo aver passato i miei momenti
liberi da studio ed altri impegni a ripassare o studiare ex novo autori dai cui testi sarebbero stati presi i brani della
prova, giovedì 10 aprile mi ritrovavo alla stazione Tiburtina a perdere il
treno per Napoli Centrale, proprio così: a perderlo. La cosa non iniziava
proprio nel migliore dei modi, ma, dopo un paio d’ore, ecco un nuovo treno e
Napoli si avvicinava. Arrivato nella città borbonica, finivo in un binario
desolato dove vecchie locomotive venivano collaudate e non proprio con i
migliori astanti che potessi aspettarmi: non era decisamente quello il binario
4 a cui ero stato indirizzato per salire sul treno metropolitano per
raggiungere il liceo. La mia visione del certamen
peggiorava sempre di più. Ma da lì sarebbe stato un crescendo vertiginoso e
costante. Ad aspettarmi fuori dalla fermata della metro c’era il mio ospite: sì
perché nei prossimi tre giorni sarei stato ospitato da un ragazzo del liceo,
Lorenzo. E con Lorenzo c’era il suo amico Ugo pronto a ricevere il suo ospite, il milanese Marco. Eravamo in tre a giungere da fuori la Campania: a rappresentare l’orgoglio capitolino c’ero soltanto
io, Marco e Marta arrivavano da Milano e dal famoso liceo classico Manzoni. Mi
aspettavo studenti intensivi di classicità, pronti a tutto pur di trionfare
nella gara, con alle spalle generazioni di fini grecisti e latinisti da non
deludere. Non sono mai stato così felice di essermi sbagliato: i due Milanesi
erano ragazzi simpatici e alla mano e stavolta, anche se lo può sembrare, non è
un ossimoro. Nel pomeriggio del giovedì i ragazzi del liceo si preoccupavano di
dare mostra della storia illustre della loro scuola e lo facevano benissimo
davanti ai nostri occhi e agli occhi di genitori, professori e preside. La
sera, dopo una sosta nell’idilliaco parco naturale della Gaiola con il mio
ospite, in quel di Napoli la pizzata con tanto di antipasti fritti e babà in
chiusura era d’obbligo. Il giorno successivo mi aspettava la prova: sei ore per
tradurre un brano di Polibio e uno di Cicerone, da commentare e da confrontare.
Dopo il pranzo, nella spettacolare biblioteca dell’altrettanto antico e
prestigioso Istituto Pimentel Fonseca, il laboratorio teatrale della scuola
metteva in scena una originale difesa dell’insegnamento della classicità in un
testo scritto dai professori del liceo. Quindi ancora una cena conviviale,
stavolta a base di pesce. Una passeggiata sul lungomare nella mattinata di
sabato e la premiazione con i miei due compagni milanesi al primo e al terzo
posto. Poi, finalmente, è giunta l’opportunità per noi forestieri di ricambiare
cene pagate, passaggi in sella a moto e motorini, veri taxi e navette della mia
tre giorni partenopea, ospitalità in case bellissime e accoglienza calorosissima
potendo offrire un pranzo in uno dei pub più caratteristici di Napoli.
Con
la massima sincerità possibile, mi sento di dover rivolgere un grandissimo
ringraziamento a tutto il liceo Umberto I e alla famiglia del mio ospite
Lorenzo che hanno dimostrato come la gli abitanti della più grande città
magnogreca abbiano ereditato al meglio il valore ellenico dell’ospitalità, e
anche ai ragazzi milanesi che hanno invece palesato come il luogo comune
dell’antipatia nordica sia, come tutti gli stereotipi, solo un’enorme
infondatezza. Non essendomi classificato tra i primi tre, l’unico rammarico sta
nel non aver portato in auge al concorso Roma, ma è un rimpianto di breve
durata perché la Città eterna si era già presa la sua rivincita nel momento
stesso dell’istituzione del premio: già, perché Polibio e Cicerone nelle loro
diversità sono accomunati dal solo e semplice fatto di aver trovato la loro acmè proprio nell’Urbe.
Ludovico
Oddi
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