venerdì 24 dicembre 2010

La felicità

Ed eccoci giunti al secondo appuntamento della mia rubrica, sperando che il primo vi abbia in qualche modo interessato. Siamo vicini alle feste, al riposo e tutti, come direbbe il nostro caro prof. Meccariello (tanto amore per lui), sono già con la testa alla prima portata del cenone natalizio. In questa bella atmosfera, spero che qualcuno perda cinque minuti della sua giornata per leggere questo piccolo articolo. Il tema che voglio affrontare è molto importante e va sempre di moda: la felicità.
L'argomento è vastissimo e sicuramente sarò molto maldestro nello scrivere il mio pensiero sulla questione in poche righe, ma procediamo per gradi.
Cos'è la felicità? Il Vocabolario Garzanti recita: "La felicità è lo stato d'animo (emozione) positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri". Io, dal basso della mia ignoranza, non ritengo accettabile questa definizione, poichè la felicità non può essere la soddisfazione di ogni proprio desiderio: la felicità è relativa a ogni singolo uomo in ogni singola occasione e può pervaderci dopo ogni piccolo gesto, anche se non si fossero esauditi tutti i nostri desideri. Gli esempi che possiamo fare sono molteplici ma uno è sicuramente attuale ed esplicativo: prendiamo un uomo sfiancato dalla crisi economica che vive il periodo natalizio in una condizione di povertà sempre più proibitiva: egli avrà come grande desiderio quello di risollevarsi e magari, avere un futuro agiato ed economicamente stabile, ma sarà sicuramente un uomo felice se anch'egli potrà permettersi, durante le festività, di poter dividere un piccolo dolce con la sua famiglia o, ancor meglio, di poter far trovare sotto l'albero, la mattina del 25, qualche regalo per la propria famiglia. Non avrà esaudito tutti i suoi desideri, ma potrà dirsi veramente felice. E, passato del tempo, egli proverà ancora un pizzico di quella felicità se la sua mente si abbandonerà ad una dolce malinconia.
Dunque, secondo me, la felicità è relativa alle situazioni delle nostre singole vite.
Tutto ciò però non esclude che possa esistere una felicità condivisibile con altri uomini e, conseguenzialmente, una felicità comune: per quanto rigurarda la prima, sono facilmente reperibili esempi come un pranzo in compagnia d'amici, una festa o qualsiasi cosa che implica la condivisione di un gesto con un'altra persona per noi positiva; ma tutti questi gesti si riferiscono ad un piacere materiale che fa spesso capo all'amicizia, altro valore fondamentale nella nostra vita. La "felicità condivisibile" di cui parlo è quella che dipende dalla felicità di un altro uomo. Si può essere felici se una persona a cui vogliamo bene è felice? Si. E non per forza questo implica un rapporto d'amore o d'amicizia: tutti hanno come obiettivo la felicità delle persone che si amano, soltanto un folle agirebbe per fare del male alla gente che gli è più cara. Il sorriso sincero della/o propria/o compagna/o ti riempie il cuore e colora anche le giornate più nere e ognuno di noi, io in primis, prova un brivido ed una grande sensazione di felicità quando tutto va bene alla persona che si ama. Ma è altrettanto importante e grande la sensazione che ti invade lo stomaco quando sai di aver fatto qualcosa che renderà felice altre persone, anche se sconosciute. Ne possiamo fare tante di dimostrazioni, ma avrò sempre impresse nella mente le lacrime intrise di gioia e commozione della mia cara nonna alla vista di una lettera da parte di una bambina lontana e sorridente, che la chiamava mamma e, nell'italiano incerto, la ringraziava di averle permesso una vita migliore destinandole una parte della sua, seppur misera, pensione.
Ultimo argomento che vorrei affrontare è la felicità comune, quella che riguarda un grande gruppo di persone e un intero popolo. Ritengo che in questi ultimi anni si stia attraversando un momento di grande crisi morale, oltre che economica. Un problema che ci logora e che ci distrugge è dato dai "potenti", i signori che governano sulla nostra sorte: negli ultimi anni fanno coincidere la felicità del popolo con l'aumento del PIL e con il benessere economico di un intero Paese. Questo viene messo in crisi dal Paradosso di Easterlin, economista americano del secondo 900, che nei suoi studi dimostra come la felicità comune aumenti con la crescita del reddito, ma che, arrivata ad un certo punto, essa comincerà a scendere notevolmente. Allora ci si chiede quale possa essere la felicità comune ed azzarderei una risposta, anche a fronte di questi studi: la felicità comune non coincide col benessere economico del Paese, ma si deve ricercare nel benessere sociale derivante nelle società che mettono l'uomo al centro di ogni decisione pubblica, come sempre dovrebbe essere in democrazia.
Allora la felicità cos'è? Forse non troveremo mai una risposta coincisa, precisa e condivisibile da tutti e forse questa è una cosa buona, perchè l'uomo che non vive per ricercare la vera felicità, non vive davvero. E vivere un'esistenza grigia e senza ricerca, non è un'esistenza felice. Forse allora la vera felicità è la ricerca continua di essa in ogni angolo della nostra vita.

Andrea Pietrangeli, II C

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