Da oggi, con l'approvazione di Mastro Crasto, ho deciso di "aprire"
un angolo filosofico. Anzi, no. Non mi piace chiamarlo filosofico,
perchè lo ritengo un angolo dove condividere dei pensieri su temi che
possono risultare un po' pesanti e/o profondi, anche se si tende, come
fosse tradizione, a definire come filosofiche queste piccole
riflessioni.
Il tema di oggi è un tema molto complesso e che pone
ognuno di noi davanti ad un burrone: la morte. Credo di parlare a nome
di tutti, o quasi, riferendomi al fatto che il solo parlare di questa
parola ci fa sentire piccoli e impotenti: l'uomo ha paura di morire.
Su
quest'ultima affermazione non credo ci sia nulla da dissentire,
perchè, salvo eccezioni, l'uomo teme la morte, ne è cosciente e vive
tentando di rimandarla. Ed è l'unico animale a provare un sentimento di
paura verso la morte che è, biologicamente, la cessazione di tutte le
funzioni viventi: infatti noi non potremo mai sapere con certezza se il
resto della fauna che abita il nostro pianeta tema la morte: c'è chi
spiega come gli animali tendano a considerare la morte, tramite il loro
istinto, l'ultima fase del ciclo vitale e c'è chi dice come essi non
abbiano insita la concezione della fine.
Ma noi non stiamo
intraprendendo un trattato bioetico, perchè se così fosse potremmo dire
che l'uomo dovrebbe, paradossalmente, essere felice della morte: grazie
ad essa, infatti, c'è un'evoluzione e un cambio generazionale nella
specie. Come dire, se non fosse presente la morte, l'uomo e gli altri
animali, non avrebbero l'istinto riproduttivo e, dunque, non saremmo
nati. O, per prenderla ironicamente, se non ci fosse la morte e qualche
uomo avesse scoperto i piaceri dell'amore e del sesso, dove diavolo
saremmo entrati tutti quanti? Insomma, il nostro pianeta non è infinito!
Ma
torniamo a noi! Il discorso che mi piacerebbe affrontare, senza
dilungarci troppo, si basa sulla paura di morire: non nascondo a nessuno
che anche io, quale semplice essere umano di medio-bassa intelligenza,
ne abbia, ma quello che mi piacerebbe condividere con quelli che
leggeranno questo articolo (sperando che qualcuno lo faccia), sono le
esperienze e le riflessioni che devono portare l'uomo ad affrontare a
viso aperto la morte e tutte le ansie che essa porta con se. Vorrei
proporre un piccolo aneddoto: ho letto di un uomo che, nel mezzo del
cammin di sua vita, intorno ai 40 anni, insomma, scoprì di avere un
cancro in fase terminale ai polmoni e, siccome il cancro non è operabile
perchè prende più organi del corpo, questo melanoma aveva invaso anche
il suo fegato. Era Marzo 2007 ed i medici non potevano dare date
precise su quanto gli fosse rimasto da vivere. I più pessimisti gli
diedero altri 15 giorni di vita. Secondo voi un uomo di 40 anni, padre
di tre figli, con anche una moglie a carico, sapendo che avrebbe
vissuto, nel peggiore dei casi, altre due settimane, cosa avrebbe
dovuto fare? Uccidersi per superare in pochi secondi quei 15 giorni di
agonia? Spendere tutti i risparmi di una vita in un hotel lussuoso a
Miami e vivere da rè il poco tempo rimastogli? Ognuno ha le sue idee,
ma quest'uomo non fece nessuna delle due cose. Non sappiamo se avesse
avuto paura della fine, ma quello che sappiamo è che prese la mano di
sua moglie e, con il sorriso sulle labbra, disse ai suoi figli che si
era ammalato. Sappiamo anche che nessuno di quei giorni diede segni di
cedimento e che nessuno lo trovò mai a piangere, magari arrabbiato con
Dio perchè non meritava una tale disgrazia, ma sappiamo che continuava a
lottare sorridendo, perchè ogni secondo lo trascorse stando vicino
alle persone che amava, e quindi consapevole di non aver sprecato alcun
secondo prezioso della sua, oramai, breve vita.
Il racconto
continua e dice che quell'uomo non visse 15 giorni, ma altri 10 mesi,
durante i quali, per far fronte ad uno Stato fraudolento e ad una
burocrazia bastarda, tornò a lavorare per sfamare la sua famiglia,
nonostante questi fossero contrari. Nel Gennaio 2008 quest'uomo se ne
andò via silenziosamente e con il sorriso sulle labbra, che era solito
avere in ogni momento. La storia si conclude con un amico parroco che
rivela, durante il suo funerale, che questo grande uomo non aveva avuto
paura di morire, ma aveva paura di non poter più crescere i suoi figli
ed invecchiare tra le braccia di sua moglie.
Cos'è quest'uomo, un
eroe? Un marziano? No, era un semplice uomo che aveva capito come non
dobbiamo vivere la vita condizionati dalla morte: egli infatti sarebbe
potuto morire in ogni momento, dopo quei fatidici 15 giorni, ma con una
grande volontà e con un grande coraggio, aveva continuato a vivere
normalmente, incurante del fatto che la sua vita sarebbe potuta
terminare in ogni istante.
Scusate se mi sono dilungato troppo,
concludo subito: perchè un animale intelligente come l'uomo deve essere
paralizzato dalla morte? Sono convinto che se ognuno di noi vivesse la
vita gustando ogni singolo secondo, durante l'ultimo attimo potrebbe
chiudere gli occhi felice per tutto quello che ha vissuto e per aver
lasciato nelle persone che ha avuto accanto il ricordo di essere stato
un uomo. Un uomo vero.
Andrea Pietrangeli, II C
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