giovedì 23 dicembre 2010

Paura di morire, paura di vivere.

Da oggi, con l'approvazione di Mastro Crasto, ho deciso di "aprire" un angolo filosofico. Anzi, no. Non mi piace chiamarlo filosofico, perchè lo ritengo un angolo dove condividere dei pensieri su temi che possono risultare un po' pesanti e/o profondi, anche se si tende, come fosse tradizione, a definire come filosofiche queste piccole riflessioni.
Il tema di oggi è un tema molto complesso e che pone ognuno di noi davanti ad un burrone: la morte. Credo di parlare a nome di tutti, o quasi, riferendomi al fatto che il solo parlare di questa parola ci fa sentire piccoli e impotenti: l'uomo ha paura di morire.
Su quest'ultima affermazione non credo ci sia nulla da dissentire, perchè, salvo eccezioni, l'uomo teme la morte, ne è cosciente e vive tentando di rimandarla. Ed è l'unico animale a provare un sentimento di paura verso la morte che è, biologicamente, la cessazione di tutte le funzioni viventi: infatti noi non potremo mai sapere con certezza se il resto della fauna che abita il nostro pianeta tema la morte: c'è chi spiega come gli animali tendano a considerare la morte, tramite il loro istinto, l'ultima fase del ciclo vitale e c'è chi dice come essi non abbiano insita la concezione della fine.
Ma noi non stiamo intraprendendo un trattato bioetico, perchè se così fosse potremmo dire che l'uomo dovrebbe, paradossalmente, essere felice della morte: grazie ad essa, infatti, c'è un'evoluzione e un cambio generazionale nella specie. Come dire, se non fosse presente la morte, l'uomo e gli altri animali, non avrebbero l'istinto riproduttivo e, dunque, non saremmo nati. O, per prenderla ironicamente, se non ci fosse la morte e qualche uomo avesse scoperto i piaceri dell'amore e del sesso, dove diavolo saremmo entrati tutti quanti? Insomma, il nostro pianeta non è infinito!
Ma torniamo a noi! Il discorso che mi piacerebbe affrontare, senza dilungarci troppo, si basa sulla paura di morire: non nascondo a nessuno che anche io, quale semplice essere umano di medio-bassa intelligenza, ne abbia, ma quello che mi piacerebbe condividere con quelli che leggeranno questo articolo (sperando che qualcuno lo faccia), sono le esperienze e le riflessioni che devono portare l'uomo ad affrontare a viso aperto la morte e tutte le ansie che essa porta con se. Vorrei proporre un piccolo aneddoto: ho letto di un uomo che, nel mezzo del cammin di sua vita, intorno ai 40 anni, insomma, scoprì di avere un cancro in fase terminale ai polmoni e, siccome il cancro non è operabile perchè prende più organi del corpo, questo melanoma aveva invaso anche il suo fegato. Era Marzo 2007 ed i medici non potevano dare date precise su quanto gli fosse rimasto da vivere. I più pessimisti gli diedero altri 15 giorni di vita. Secondo voi un uomo di 40 anni, padre di tre figli, con anche una moglie a carico, sapendo che avrebbe vissuto, nel peggiore dei casi, altre due settimane, cosa avrebbe dovuto fare? Uccidersi per superare in pochi secondi quei 15 giorni di agonia? Spendere tutti i risparmi di una vita in un hotel lussuoso a Miami e vivere da rè il poco tempo rimastogli? Ognuno ha le sue idee, ma quest'uomo non fece nessuna delle due cose. Non sappiamo se avesse avuto paura della fine, ma quello che sappiamo è che prese la mano di sua moglie e, con il sorriso sulle labbra, disse ai suoi figli che si era ammalato. Sappiamo anche che nessuno di quei giorni diede segni di cedimento e che nessuno lo trovò mai a piangere, magari arrabbiato con Dio perchè non meritava una tale disgrazia, ma sappiamo che continuava a lottare sorridendo, perchè ogni secondo lo trascorse stando vicino alle persone che amava, e quindi consapevole di non aver sprecato alcun secondo prezioso della sua, oramai, breve vita.
Il racconto continua e dice che quell'uomo non visse 15 giorni, ma altri 10 mesi, durante i quali, per far fronte ad uno Stato fraudolento e ad una burocrazia bastarda, tornò a lavorare per sfamare la sua famiglia, nonostante questi fossero contrari. Nel Gennaio 2008 quest'uomo se ne andò via silenziosamente e con il sorriso sulle labbra, che era solito avere in ogni momento. La storia si conclude con un amico parroco che rivela, durante il suo funerale, che questo grande uomo non aveva avuto paura di morire, ma aveva paura di non poter più crescere i suoi figli ed invecchiare tra le braccia di sua moglie.
Cos'è quest'uomo, un eroe? Un marziano? No, era un semplice uomo che aveva capito come non dobbiamo vivere la vita condizionati dalla morte: egli infatti sarebbe potuto morire in ogni momento, dopo quei fatidici 15 giorni, ma con una grande volontà e con un grande coraggio, aveva continuato a vivere normalmente, incurante del fatto che la sua vita sarebbe potuta terminare in ogni istante.
Scusate se mi sono dilungato troppo, concludo subito: perchè un animale intelligente come l'uomo deve essere paralizzato dalla morte? Sono convinto che se ognuno di noi vivesse la vita gustando ogni singolo secondo, durante l'ultimo attimo potrebbe chiudere gli occhi felice per tutto quello che ha vissuto e per aver lasciato nelle persone che ha avuto accanto il ricordo di essere stato un uomo. Un uomo vero.

Andrea Pietrangeli, II C

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