venerdì 28 dicembre 2012

Whistlejacket


George Stubbs, 1762
Olio su tela, 3m x 2.5m
National Gallery, Londra

Whistlejacket, cavallo da corsa nato nel 1749, noto soprattutto per la vittoria del 1759, data che segnò anche la sua uscita dagli ippodromi, fu ritratto da George Stubbs nel 1762 su commissione della seconda marchesa di Rockingham. L’opera si può definire compiuta in quanto fu verosimilmente commissionata così come la vediamo oggi come dimostrano alcuni dettagli stilistici (le ombre sotto gli zoccoli posteriori), ma anche perché la fama di Stubbs era legata prevalentemente ai ritratti
di animali. Forte degli studi anatomici, condotti su corpi umani e animali, l’autore ne dà prova proprio in quest’opera non solo nella credibile postura rampante del cavallo ma anche nella scientifica rappresentazione della muscolatura, delle venature e dei endini, che conferiscono alla figura potenza, tensione ed energia quasi palpabili, effetti che Stubbs volutamente ricercò per coinvolgere nella scena l’osservatore, l’alta borghesia britannica. Ma come amplificare la partecipazione dell’osservatore? Isolando l’animale e astraendolo da qualsiasi contesto paesaggistico o storico (motivo per cui ancora oggi l’osservatore è catturato).
Nonostante l’opera venne dipinta in età neoclassica essa anticipa per certi versi la corrente romantica, soprattutto per ciò che si cela dietro all’immagine del cavallo: lo spirito libero e impetuoso sciolto dalle “briglie” della società, il selvaggio, l’uomo che vive nel rifiuto delle regole e delle imposizioni, scritte o “convenzionali”.

Fonti: National Gallery, The Guardian, Thoroughbred Bloodlines

Cecilia Bufano, IIIE

giovedì 20 dicembre 2012

Natale nel mondo

Sarà forse a causa della crisi economica o della paura di viaggiare in aereo, ma non riusciamo quasi mai a visitare alcuni paesi, con tradizioni incredibili e piene di fascino.
Abbiamo pensato che non c’è niente di meglio di viaggiare con la fantasia, magari seduti sul divano, con una buona e calda cioccolata, senza particolari spese e senza correre alcun rischio, in Paesi che sotto il periodo natalizio sono pieni di magia. Buon viaggio!

Perché non cominciare da dove tutto ebbe inizio?
Benvenuti in Lapponia, Finlandia!

Il Natale per i finlandesi ha un significato molto, ma molto particolare, che va ben oltre le radici religiose cristiane. I finlandesi si preparano al Natale dal periodo del primo avvento. Durante tutto il periodo l’usanza è quella di passare lunghe ore in cucina per preparare dolci natalizi. Per le strade, tra tantissime decorazioni in genere composte da lana, paglia o truciolo di legno, si fanno largo venditori, anche improvvisati, di veri alberi di Natale.
Questi vengono decorati dalle famiglie finlandesi alla vigilia di Natale con frutta, canditi, cartoncini e bandierine di carta, oltre a piccole candeline usate
 per illuminare l’albero.
La tradizione più sentita è quella di decorare i giardini di casa con delle vaschette piene di grano, nocciole e semini, per dare da mangiare agli uccellini: succede, infatti, che finché gli uccellini non mangiano la cena loro offerta, le famiglie non iniziano a mangiare la loro cena di Natale.
Il pranzo di Natale comprende tantissimi dolci (che si distinguono in dolci guarniti con marmellata di prugna, e biscotti di ogni forma), prosciutto cotto cucinato a fuoco basso e del merluzzo bollito servito con vegetali e una crema in salsa.

Questa terra fredda è la culla del personaggio più amato
dai bambini di tutto il mondo, Babbo Natale. Babbo Natale inaugura ogni anno l’avvento del Natale, facendo la sua entrata ufficiale nella capitale (Helsinki), accompagnato da moglie, folletti e renne, sfilando per le strade della città, accendendone luci e ghirlande.
L’atmosfera dei festeggiamenti natalizi della Finlandia è ricca di luci e colori in ogni angolo del Paese, che risuona di cori con le voci angeliche dei bambini.

HYVAA JOULUA!

venerdì 14 dicembre 2012

Eppur ancor si sogna

C’era una volta un pianeta lontano lontano abitato da creature chiamate “Esseri Umani”. Gli Esseri Umani erano una razza davvero interessante: erano così intelligenti ed industriosi che, nel momento in cui si avvidero che il mondo che li circondava era essenzialmente pericoloso ed ostile, si adoperarono affinché con le loro mani e il sudore della loro fronte ne potessero creare uno più sicuro in cui la vita non fosse un’eterna fuga dal nemico. Una volta create le loro “Città” sicure, gli Esseri Umani, che - per Bacco! - davvero erano una specie intelligente, si accorsero che tuttavia oltre alla sicurezza per vivere felici avevano bisogno anche di Giustizia, Uguaglianza, Libertà di espressione e si adoperarono affinché anche tutto questo, per quanto possibile, si realizzasse.
Nel corso della loro opera gli Esseri Umani si accorsero di aver creato una “Società” che puntava al loro benessere, sì, ma che, nella verità dei fatti, non lo raggiungeva mai; era una Società che aveva creato un “Mercato Libero” che doveva essere l’occasione per tutti di comprare ciò che volevano in base al “Potere d’Acquisto” che ognuno aveva, che sarebbe stato più grande per il cittadino più meritevole e più piccolo per quello meno, cosicché i più zelanti nel “Lavoro” - cioè nell’azione di mettere le proprie abilità al servizio della Società - potessero avere, come premio per il loro impegno, la possibilità di comprare ciò che desideravano.
All’ombra di questo grande sogno gli Esseri Umani non s’avvidero questa volta di un mostro che - ahimé - era proprio dentro di loro. La loro natura di esseri così intelligenti e così industriosi li portò all’eccesso: dopo che avevano teorizzato e costruito la macchina perfetta non si accontentarono di condurla seguendo la strada; vollero correre, veloci come un giaguaro, poi come il suono, poi come la luce e sempre più abusando di quella macchina in teoria perfetta.

mercoledì 12 dicembre 2012

L'Italia dimenticata delle stragi di Stato

Milano, 12 dicembre 1969. A piazza Fontana salta in aria la Banca Nazionale dell'Agricoltura, provocando la morte di diciassette persone e il ferimento di ottantotto.
Le prime piste della polizia non lasciano ombra di dubbio: l'attentato ha una matrice di sinistra e, precisamente, anarchica. Ma poco tempo dopo le prime indagini, che portarono alla "morte accidentale" del ferroviere Giuseppe Pinelli e alla presunta colpevolezza del ballerino Pietro Valpreda, si affaccia un'altra ipotesi.
L'attentato sarebbe stato organizzato da membri dei gruppi fascisti di Ordine Nuovo e di Avanguarda Nazionale e, ancor peggio, con la complicità di alcuni membri dei servizi segreti italiani e americani che, preoccupati dai moti studenteschi del '68 e dal buon risultato elettorale del Partito Comunista Italiano (il più grande del blocco occidentale), avrebbero voluto spingere il paese verso una deriva autoritaria provocando nella popolazione preoccupazione e terrore.
Da questo momento in poi la strage di piazza Fontana e in seguito quelle del treno Italicus, di piazza della Loggia a Brescia, della stazione di Bologna e dell'aereo di Ustica saranno conosciute come "Stragi di Stato", crimini che a tutt'oggi non hanno colpevoli.
Scrivo simbolicamente quest'articolo oggi, 43 anni dopo i fatti di Milano, per denunciare la mancanza di memoria, non solo riguardo a Piazza Fontana, ma riguardo a tutte le stragi che hanno "colpito al cuore" e "preso a tradimento" questo Paese, uccidendo centinaia di comuni cittadini in nome di un presnto quanto improbabile pericolo.
Sarà che in questo paese si tende a dimenticare ciò che fa male, ma io credo che nulla sia più sbagliato che mettere la testa sotto la sabbia e lasciare che la richiesta di giustizia delle famiglie delle vittime resti un grido inascoltato perso nell'oblio della storia.
Quando Pasolini ne parlò, in un famoso articolo pubblicato nel 1974 sul Corriere della Sera, le definì "Romanzo delle Stragi", e forse mai definizione fu più appropriara, intricate come sono, con una una "trama" tanto complicata quanto lunga.
Ma se fossero davvero romanzi, oltre ad avere una fine, le stragi di Stato dovrebbero essere dei classici, libri come I Promessi Sposi e I Malavoglia che si studiano a scuola e che ti restano addosso per tutta la vita, perchè ci sono dei momenti nella vita di un Paese che non si possono e non si devono dimenticare.
Nessun italiano può permettersi di non ricordare il mercatino degli agricoltori di Piazza Fontana, la luce di piazza della Loggia, il treno Italicus, l'aereo di Ustica o l'orologio della stazione di Bologna, fermatosi alle 10 e 25 di quel maledetto 2 agosto 1980.
Dietro ad una nazione c'è sempre una storia, buona o cattiva che sia e non esiste demorazia se non c'è il ricordo, poichè la mancanza di memoria è sinonimo di dittatura.
Per Pinelli e per tutte quelle voci inascoltate e perdute nel rumore sordo di una bomba cerchiamo di portare avanti la nostra Resistenza culturale!

Alessandro Montesi, IIID

domenica 18 novembre 2012

Se un errore è un diritto

"Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere".
Dichiarazione universale dei diritti umani, 1948.
Un testo che tanto spesso viene dimenticato o, ancora peggio, strumentalizzato con metodi al limite dell'atroce. Già, perchè è facile parlare di diritti umani finchè quei diritti tutelano tanto noi quanto le persone che ci circondano: ma tanto facile non lo è più, dal momento in cui questi diritti danno a qualcun altro la piena facoltà di contrastare le idee che portiamo avanti così strenuamente - e a volte, permettetemelo, ciecamente.
Dico ciecamente, perchè nel contesto in cui siamo inevitabilmente abituati a vivere, ci ritroviamo sempre e comunque sotto una vera e propria pressione ideologica che tenta di interferire con la nostra libera capacità di pensiero. Sia chiaro, non sto sminuendo millenni di evoluzione solo per arrivare a dire che l'uomo non è in grado di pensare autonomamente: soltanto, vorrei far prendere atto di come in questi giorni, ma più in generale in qualsiasi epoca, possa risultare semplice farsi condizionare dalle idee altrui.
Ci ritroviamo a vivere in una società dove ormai la televisione va a braccetto col pane, all'ora di pranzo e all'ora di cena. Ci ritroviamo a vivere in una società dove un numero sconsiderato di giornali e testate di vario genere ci sommergono di un quantità disumana di informazioni, spesso contrastanti, fra le quali risulta difficile saper distinguere il vero dal verosimile. Ci ritroviamo a vivere in una società dove le poche informazioni che possiamo osare definire attendibili provengono dalla rete, all'interno della quale è comunque richiesta una notevole capacità di destreggiarsi per non annegare nell'oceano infinito di dati e notizie che circolano, dal senso più o meno compiuto.

venerdì 16 novembre 2012

E' ora di capire!

In questi giorni stiamo sentendo sempre più spesso parlare della riforma imposta dalle legge 953 ex Aprea, ma molti di noi non sanno veramente di cosa si tratti.
Questa legge (ex Aprea) ha già ricevuto lo scorso 10 ottobre, sotto un assoluto silenzio l’approvazione della maggioranza della settima commissione Cultura della Camera.
Quali cambiamenti reali comporta questa legge?
Ecco un elenco di alcuni dei punti fondamentali di questa riforma:

- La legge n.953 afferma che la scuola si adegua alle diverse realtà sociali ed economiche e quindi stabilisce delle disuguaglianze economiche e sociali nel Paese. Ci saranno perciò scuole con molte disponibilità e scuole marginali;

- Limita il ruolo degli insegnanti e rafforza il ruolo manageriale del Dirigente Scolastico;

- Prevede una scuola facilmente condizionabile da poteri esterni con contributi che possono essere anche finalizzati o addirittura con la presenza di esterni;

- Ribadisce il ruolo principale, superiore e verticistico del Ministro e degli strumenti di intervento
(INVALSI) con una limitazione della libertà di insegnamento (decisione del programma da eseguire
ecc.);

- Smantella il sistema scolastico statale e prevede un sistema di scuole comprensive e private;

- Delega al Ministro la normativa di attuazione, accentuando il carattere ministeriale della scuola;

- Delega alle Regioni la competenza ad educare la forma di partecipazione a livello territoriale
senza definire alcun principio;

- Configura una scuola che si avvale delle disuguaglianze.

martedì 13 novembre 2012

De Chirico occupato



Grande esempio di organizzazione e civiltà nella reazione del liceo romano al DDL 953


Sabato 10 novembre, mentre molti miei colleghi, ciceroniani e non, stavano facendo sentire la propria voce tra Piazza dell’Esquilino e Piazza Santi Apostoli, stavo raccogliendo testimonianze di come le scuole di Roma si fossero organizzate per reagire a questo scempio che il nostro governo vuole attuare contro il nostro futuro, contro il nostro presente e anche contro il nostro passato: infatti, non tutti sanno che un effetto collaterale del DDL 953 ex Aprea - parole che tutti gli studenti d’Italia hanno per fortuna imparato come la prima declinazione (non dico come l’Ave Maria perché credo ancora in una scuola pubblica e laica) - sarà quella di limitare il potere del corpo studentesco nelle decisioni scolastiche, arrivando ad eliminare una legge nazionale sul diritto all’assemblea, diritto che studenti poco più anziani dei nostri genitori hanno conquistato lottando pacificamente contro l’idea di una scuola totalitaria che ora ci si vuole riproporre. 
Sfruttando una mia amicizia con un ragazzo del Liceo artistico Argan (ex De Chirico) di Cinecittà, a Roma, sono riuscito ad entrare nella scuola occupata, così come il vicinissimo Istituto di ragioneria Verrazzano. Ai miei occhi si è presentato un manipolo di studenti pienamente organizzato e convinto a difendere i propri diritti. L’occupazione, che è stata votata a maggioranza in assemblea, è iniziata giovedì 8 novembre nella primissima mattina; un candidato alla rappresentanza d’istituto è riuscito facilmente ad ottenere il tacito assenso di preside e professori e la promessa di nessun intervento di sgombero dal capo della polizia di quartiere, questo anche perché la scuola sta attuando la terza occupazione in cinque anni e non sono mai stati arrecati danni all’edificio, anzi.

venerdì 9 novembre 2012

La storia di uno specchio: io.

Una frazione di secondo. Un istante. Un palpito. La mia consapevolezza di esistere si manifestava nel momento in cui il suo sguardo si posava sulla mia immagine.
Nessun altro era in grado di farmi sentire così. Quando i suoi occhi s'incontravano con i miei, sentivo la vita esplodermi nel petto. Uno sguardo che attraversava il mio, lo perforava con una forza tanto profonda da restituirmi quell'identità che così raramente riuscivo a percepire.
Conosceva a memoria ogni dettaglio del mio corpo; sapeva sorridermi con una dolcezza tale da lasciarmi ammutolita e sussurrarmi, talvolta, con voce quasi impercettibile le cose che aveva nel cuore. Sapevo di essere ciò che vedevo e ne avevo la conferma nel momento preciso in cui lei mi guardava. Ero preda di un entusiasmo quasi puerile quando i nostri sguardi s'incrociavano.
Eppure, pian piano, l’ho vista morire davanti ai miei occhi e sono morta con lei. L’ho accompagnata ogni giorno, ogni ora nel suo lento declino, nella follia più cieca e crudele che l’ha divorata. Mi ha uccisa uccidendosi. Ha riversato su di me un odio di cui non la credevo capace, accusandomi di essere responsabile del suo dolore, di farla soffrire.
Io sono nata dal buio di una stanza e la luce di un neon mi ha permesso di prendere forma. Sulle sue labbra si è posato il mio primo sguardo. Rosse, sorridenti. Credo di aver iniziato ad amarla in quell’esatto momento, guardandola passare il rossetto sulle sue labbra perfette, la spazzola fra i
capelli. “Più mascara!” disse un giorno, fissandomi dritta negli occhi e, improvvisamente, seppi di esistere. Ma la mia vita si accende e si spegne come il neon della stanza dove io aspetto che torni. E sono ormai giorni, mesi forse che attendo e penso diessere morta. Ma non saprei definire la morte se non come l’assenza di lei, un non essere.

domenica 28 ottobre 2012

Cooper! Perché?

Quanti di noi, a inizio anno, si sono ritrovati a inveire contro il signor K.H. Cooper e a chiedersi: perché a me? 
Abbiamo pensato che non c’è modo migliore di rispondere ad alcune domande se non rivolgendole direttamente a quel signore che ci fa tanto odiare le ore di educazione fisica.
Kenneth H. Cooper nasce a Oklahoma negli Stati Uniti d’America nel 1931.
Durante la sua carriera militare, nel 1968, idea il test di Cooper come un modo rapido di valutare la condizione fisica di un elevato numero di persone. 

G.V.: Salve signor Cooper, siamo due studentesse del Liceo Classico Marco Tullio Cicerone e vorremmo farle qualche domanda, in quanto il nostro programma di educazione fisica prevede il suo test. Inizi pure dicendo in cosa consiste.

C.: Salve anche a voi. Premetto dicendo che nel lontano 1968 ho pensato a questo test come solo una prova per i militari, e non avrei mai pensato che sarebbe toccato anche a voi studenti. Nella sua forma originale, il test prevede che si corra per 12 minuti cercando di coprire la massima distanza possibile, preferibilmente in piano. Per svolgere il mio test c’è bisogno di un assistente con il compito di annotare i vari giri di pista e la distanza percorsa in metri durante la prova.

G.V.: A cosa serve fare questo test, e quali obiettivi dobbiamo raggiungere?

C.: I risultati del test danno una stima generica delle condizioni fisiche di una persona. Il risultato si basa sulla distanza percorsa dal soggetto, indicandone la resistenza. In generale, questo test è molto facile da svolgere e abbastanza economico, specialmente se fatto in grandi gruppi.

G.V.: Riguardo al fatto che sia economico, non abbiamo dubbi, ma… facile?

lunedì 22 ottobre 2012

Manzoni - Museo della liberazione, uscita lato destro.

Ripercorrendo la memoria di via Tasso e della Resistenza.

Manzoni, museo della Liberazione, uscita lato… destro. È un metallico speaker della metropolitana che passa quasi inosservato al nostro cervello che lo bypassa senza nemmeno starci a pensare, reso come un sistema isolato da un paio di cuffiette ermetiche o da una consueta fretta. Vale la pena di scostare l’auricolare, almeno uno solo. Il museo della Liberazione è situato in via Tasso, quella che oggi è una delle tante vie di Roma, nemmeno tanto chic, nemmeno tanto piena di turisti e pizzerie. È un via un po’ sui generis silenziosa, tranquilla, poco trafficata; si ha quasi la sensazione di passare in un cono d’ombra e silenzio stretto tra due fila di piccole palazzine tipicamente romane, vagamente pallide, vecchie, derelitte seppur curate per renderle abitabili anche nel XXI secolo.
Il cono d’ombra è il velo nero della storia e il silenzio è il rispetto non tanto per chi è morto, quanto per chi ha combattuto e sofferto ingiustamente. Ai tempi del nazi-fascismo via Tasso era una sorta di entrata all’Inferno, con tanto di Caronti biondi fieri delle loro croci uncinate che trascinavano anime riluttanti nelle fauci dell’Averno per scontare la tortura che più si confaceva ai loro orrendi crimini. Crimine, entità facile da percepire quanto arbitraria in tempo di guerra.
Via Tasso, la via che all’epoca non era nemmeno pronunciata per quanto orribile fosse il suo spettro, era un carcere, un palazzo di tortura, un fortino tedesco senza regole, senza pietà che aveva il solo scopo di tenere a freno la turbolenta popolazione della città che era stata abbandonata da tutti, dal re, da Mussolini imprigionato, dai membri del governo ed era “aperta”, cioè in uno stato di resa incondizionata che avrebbe dovuto garantirle se non altro la pietà che si ha per i corpi agonizzanti, ma che in realtà si è trasformato nell’anarchica condizione ideale per la vendetta di Hitler e per gli sfoghi dei suoi soldati, furiosi con i traditori italiani, duri, superiori.

domenica 21 ottobre 2012

Attendere prego. Elezioni in corso!

Il nuovo anno scolastico è iniziato  e la prima decisione importante da affrontare, ovviamente dopo la scelta del diario, riguarda l’elezione dei rappresentanti d’istituto. Quante volte ci si è ritrovati a preferire un candidato ad un altro solo per la musicalità del cognome? Per porre rimedio a questa scomoda e controproducente situazione, abbiamo pensato di mettere a disposizione di voi (e)lettori/trici un accuratissimo inventario su tutto ciò che non vi hanno detto e che dovreste sapere su chi vi rappresenterà per il resto dell’anno scolastico. I candidati, volenti o nolenti, sono stati costretti a soddisfare ogni nostra più bizzarra richiesta.

LISTA I: STUDENTI AL PRIMO POSTO


ANDREA CRISTIANO


Alla domanda:
La foto è molto convincente, 
possiamo chiamarti Zio Crasto?”
Andrea molto disponibile, risponde subito con 
un “No.” Ma noi, ignorando completamente 
la risposta, proseguiamo:
Allora zio, raccontaci il motivo per cui ti sei candidato.” 
La scelta deriva dall’anno scorso, ho già 
fatto questo tipo di esperienza e l'ho 
trovata importante e soprattutto formativa, dato 
che nell'anno passato con gli altri ragazzi siamo
 riusciti ad ottenere buoni risultati, l’intento 
è di ripeterli”.
“Credi che sarà difficile vincere le 
elezioni nonostante la foto che, 
ripetiamo, è molto convincente?”
“Sicuramente la foto avrà il suo grande merito.
 Quest’anno abbiamo due liste, rispetto all’anno scorso 
in cui ne avevamo una sola, quindi ovviamente le cose saranno molto diverse. Io e gli altri candidati della 
mia lista speriamo di conquistare due seggi su tre e comunque anche chi non è stato eletto 
continuerà a contribuire e partecipare all’organizzazione.”
“Se non tu, chi speri venga eletto come rappresentante d’istituto?”
“Nessuno! No, a parte gli scherzi vedo molto bene Gaia, Ludovico e Alessandro.”
 “Facci sentire il tuo slogan.”
“Vota giusto. Vota adesso. Vota Crasto.”
Ora cantaci una canzone!”
“Canto Orion dei Metallica: …”
“Hai un talento nascosto?”
“A sei anni ho completato pokèmon blu in spagnolo.”
“Facci un saluto!”
Ciao. Ciao. Ciao.” 


venerdì 8 giugno 2012

Cronaca de 'na giornata storica

Me so’ svejato alle 9,15. Precise.
Pare ‘na giornata come le artre: mi’ madre che esce da casa quanno dormimo tutti; un fratello che se sveja, un po’ così, e se ne va’ a scola. Ar Tuscé.
Io che bestemmio contro ‘a sveja e de otto minuti in otto minuti me arzo dar letto un’ora dopo.
Ma questa nun è ‘na giornata come le artre. E nun lo po’ sape’ quer fratello che se la dorme tranquillo; e nun lo po’ immaggina’ quell’artro che come ogni mattina è salito ‘n macchina direzione Bruno “qua’a scola demmerda” Touschek.
Me svejo, me arzo, me do ‘na sciacquata così, tanto pe’ nun sentimme ‘no schifo. Esco.
Imbocco la via do’o stadio e sento du’ stronzi che esurtano pe’ un gol, subito surclassati da un grido: un grido che ariva dritto ar còre.
Sargo, chiedo ‘nformazioni. 1 a 1.
Daje. “Ma tanto mo ce se ‘nculano”, dice quarcuno. “Tanto mo ce ne fanno n’artro”, dico io.
Ma nun ce credo.
E infatti manco er tempo de sbracasse ar sole che l’ultimo arivato de’ la famija Botti, er Botticelli, ce pennella ‘na palla d’oro ‘n mezzo all’area.
La butta là. Co quer fare strafottente che contraddistingue ‘sti giovani d’oggi. “La butto là”, dice, “poi fate vobis”.
Er caso vòle che quer motorino co’ ‘e gambe de Taraborelli (mentre svernicia un ignaro aspirante scienziato che se credeva de venisse a fa’ ‘na gita fòri porta), come la Venere che ciccia fòri da ‘na conchiglia ‘nmezzo ar mare, lui ciccia fòri dar secondo palo e ‘nsacca ‘na palla che nei cuori de chi ‘nquer momento stava a pijasse er cardo su’i spalti vordì tante cose; ma in finale vordì ‘na cosa sola: “Aò, oggi je famo ‘rculo”.


giovedì 7 giugno 2012

Core e pormoni


Core e pormoni, come si direbbe a Roma e perché no, nei nostri amati castelli: la formula perfetta, le due parole che riescono a sintetizzare tutta la grinta e tutta l’emozione di una giornata come quella del 7 giugno 2012.
Una partita giocata in campo e sugli spalti con la stessa intensità e la voglia di vincere, poi concretizzate in una vittoria che mancava da veramente troppi anni. Ci credevamo, fin dall’inizio, e non ci siamo mai sbagliati; nemmeno per un istante abbiamo dubitato dei nostri eroi e alla fine abbiamo dimostrato di saper essere più del semplice sostegno di una squadra, più di un mucchio di studenti urlanti a sostenere i propri compagni. Le parole sono poche.
Quella che trovo, per oggi, è una ed una soltanto: spettacolo.
 Era tanto che aspettavamo l’occasione e i nostri avversarsi contavano nella quinta vittoria consecutiva, nella manita a cui tanto aspiravano. Un coro, uno dei tanti di fine partita, ha reso la nostra ben chiara idea di dove quella manita dovesse andare a finire.
Ma al di là dello sfottò e delle urla c’era altro, c’era la voglia di farsi sentire e di farsi vedere come un grande gruppo unito. Sul campo si è sudato sangue, dagli spalti siamo usciti senza voce ma con tutta la forza di sostenere i nostri compagni vittoriosi.
Tanti erano quelli che definiremmo capi ultras per lo sforzo impiegato nell’organizzare una coreografia ed uno spettacolo d’eccezione e li ringraziamo, così come ringraziamo tutti, tutti, nessuno escluso.
Come dimenticare un Edoardo Giammarioli, che correva qua e là ad attaccare striscioni e ad incitare il pubblico; o un Alessandro Montesi indiavolato e coperto dei colori bianco e azzurro della nostra squadra; o soprattutto un Ludovico Oddi, con un animo infervorato cento minuti su novanta passati ad alzare cori e ad organizzare le coreografia?

martedì 5 giugno 2012

Fatti non foste a viver come bruti

Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell'abisso, inferno o cielo non importa. Giù nell'ignoto per trovarvi del nuovo.
                                                                                                       Charles Baudelaire

C’è una linea sottile che unisce l’uomo e il progresso, una linea sottile che lega personaggi come Dante, Giotto, Leonardo o Boccaccio: è l’ardore della conoscenza, la frenesia di travalicare i limiti imposti dalla tradizione. Questa frenesia fatta di frasi, scoperte, idee altro non è se non il basamento del nostro presente; quella smania di sovvertire l’ordine costituito è il motore primo del progresso. E’ proprio dell’uomo infatti essere sempre protratto in avanti verso un orizzonte di novità, è proprio dell’uomo non accontentarsi mai delle risposte che già possiede, ma ricercarne sempre altre per le domande che continuamente si pone; già Cicerone scriveva infatti “Dunque è tanto innato per noi l’amore della conoscenza”.
L’esempio più lampante e significativo di questa visione umana si materializza nel XXVI canto dell’Inferno della Divina Commedia, comunemente chiamato “Il canto di Ulisse” che appare come un ritratto dell’uomo in generale. In esso Dante non condanna l’astuzia di Ulisse, né il suo utilizzo a tratti amorale, ma la sua innata e insaziabile sete di conoscenza tanto elevata da scontrarsi con il Divino. Per Ulisse, che dunque diviene paradigma del genere umano, “l’ardor del divenir del mondo esperto” è talmente forte da non trovare degna opposizione né nell’amore per la moglie, né nella pietà per il padre o nella dolcezza del figlio; ma la sua “follia” accecata dalla sete di conoscenza lo induce verso un viaggio fatto di pericoli e scoperte.

lunedì 4 giugno 2012

Sono solo parole

Romanzo a puntate - Parte II

Nel vento c’era quel pungente profumo di un inverno appena accennato, a terra una coperta di foglie fradice. Dietro l’angolo, il nuovo anno incalzante. Da qualche parte, l’estate appena trascorsa. Camminavo a passo svelto, il volto infreddolito nascosto nel cappuccio, la musica sparata nelle orecchie, la mente ancora addormentata, sconnessa, confusa nei suoi continui pensieri opprimenti,
soffocanti ma, nel profondo, sotto una spessa coperta di vergogna e di paura che non osavo sollevare, dolci, dolcissimi. Incompresi, in primis da me stesso. Ma dolci, terribilmente dolci. Dire la verità, essere onesti, per alcuni è uno dei migliori pregi che l’essere umano possa avere. Io, invece, volevo una bugia qualsiasi, una qualsiasi cazzata, tutto fuorché la verità.
La fermata era, come sempre, gremita di persone. Ragazzi persi dietro il fumo di una sigaretta, una donna anziana con le cartelline delle analisi strette al petto, ragazze sorridenti con le bocche già piene di chiacchiere. “Sperare che domani arrivi in fretta e che svanisca ogni pensiero lasciare che
lo scorrere del tempo renda tutto un po' più chiaro." Un po’ più chiaro.
-Ti voglio bene. <3 -  diceva un sms appena arrivato da Barbara. Svanisca ogni pensiero.
Bloccai per un attimo l’i-pod.
L’incessante e assordante rumore del traffico, così vuoto nella sua frenetica monotonia di ogni mattina, avvolgeva come una cappa la città, ma quel rumore confuso, insensato e ripetitivo nella sua noiosa insensatezza era per me rassicurante, come le parole di una ninna nanna ripetute all’infinito finchè, quando ormai si è caduti nel mondo confuso del dormi veglia, perdono il loro significato.
Play. “Sono solo parole parole parole, parole e ora penso che il tempo che ho passato con te
ha cambiato per sempre ogni parte di me.”
-Ti voglio bene anch’io. <3 -
Dal finestrino sporco e appannato dell’autobus scorrevano tante immagini senza senso, veloci, colorate, sfocate. Poi, piano piano, alberi, case, persone. E di nuovo confusione, colori, linee e macchie senza forme. Dopo la terza fermata salì Damiano, il viso arrossato dal freddo immerso nella sciarpa blu, i capelli neri, corti, leggermente alzati dal gel appena sopra la fronte, gli occhi scuri e svegli che cercavano in silenzio un posto libero. “Siamo troppo distanti distanti tra noi ma le sento un po’ mie le paure che hai vorrei stringerti forte e dirti che non è niente posso solo ripeterti
ancora sono solo parole par.. I got a hangover, wo-oh! I’ve been drinking too much for sure I got a hangover, wo-oh!”
-We Marco!-
-Oh Da! Ti ho tenuto il posto.-
E si sedette accanto a me, dandomi un pugno leggero sulla spalla, così, per scherzare. Così, come due amici. Come due fratelli. Ricambiai con un sorriso. Così, come un amico…

venerdì 18 maggio 2012

Intervista con i Modena City Ramblers

I “Modena City Ramblers” nascono nel 1991 da un gruppo di ragazzi appassionati di musica irlandese. Nel giorno della ricorrenza di San Patrizio dello stesso anno viene deciso il nome della band.
Gli attuali componenti sono: Davide “Dudu” Morandi voce, basso e chitarra; Massimo “Ice” Ghiacci basso elettrico e acustico; Franco D'Aniello flauto, tromba e sassofono; Francesco “Fry” Moneti chitarra e violino; Roberto “Robby” Zeno batteria e percussioni; Leonardo “Leo” Sgavetti
fisarmonica, pianoforte e organo; Luciano Gaetani banjo, bouzouki; Luca Serio Bertolini chitarra acustica.
Il repertorio dei “Modena” è molto variegato e comprende sia brani irlandesi che pezzi popolari italiani, il gruppo può inoltre vantare l'incisione di circa 12 dischi. Il loro genere musicale si può definire “combat folk”, ma sono influenzati anche dal “rock” e dal “punk”.
Abbiamo avuto l'onore di ricevere da alcuni membri dei “Modena City Ramblers” le risposte alle nostre domande per il nostro giornalino:

1) Pensate che le vostre canzoni siano d'aiuto e ispirazione per i giovani?

Una canzone non porterà mai a nessuna rivoluzione, da sola, né a livello sociale, né a quello individuale. Ma può, appunto, ispirare, aiutare a maturare certi comportamenti e veicolare valori e orizzonti. Può diventare quindi un’ottima colonna sonora per la propria rivoluzione. Nel nostro piccolo, con le nostre canzoni, guardiamo a questo. E ci fa piacere pensare che qualche giovane “cresca” anche con la nostra musica.

2) Avete cominciato a comporre sui banchi di scuola?

No. Sui banchi di scuola, magari, si viaggiava con la testa, inseguendo anche qualche melodia, ci si immaginava su un palco, ma il massimo del sogno era riuscire a “centrare” tutti gli accordi di una canzone dei Clash o di Dylan!

Cicerone a Parigi, parte II

Finalmente, dopo varie peripezie e un fiume di compiti in classe, è arrivato il giorno della partenza per Parigi. Tutto sembrava perfetto: si prospettavano 3 giorni di sole, l’hotel non era niente male, nonostante qualche giudizio negativo sul sito, ed eravamo tutti al settimo cielo. Il primo giorno il sole splendeva e Parigi sembrava più bella che mai. Abbiamo percorso i viali principali, arrivando all’Île de la Cité, dove ci aspettava la meravigliosa Notre Dame, che si ergeva maestosa rispecchiandosi nella Senna (anche se, in effetti, me l’aspettavo molto più grande). Una mezz'ora per pranzare e poi via di nuovo sul pullman, verso la tour Effeil, illuminata da quel sole invernale. La giornata, scivolata via velocemente, si è conclusa con una passeggiata fino a Montmartre; certo, non proprio una passeggiatina, ma c’era una tale tranquillità e bellezza, nel panorama di Parigi, che sembrava di essere fuori dal mondo e dal trambusto del vicino quartiere di Pigalle.
Insomma, nonostante già non sentissimo più i piedi, la giornata era trascorsa meravigliosamente e già facevamo progetti per i giorni seguenti. Non ci saremmo mai aspettati nulla di ciò che accadde il secondo giorno.
Dopo la visita mattutina del Louvre siamo tornati in hotel, dove ci aspettava una bella denuncia da parte di ignoti.
Perché? La prima notte c’erano stati alcuni ospiti che si erano lamentati dei rumori e avevano deciso di andarsene. Dunque l’hotel, dopo aver segnalato tre delle nostre stanze per “schiamazzi notturni” (due delle quali erano vuote) si è preso il permesso di prelevare dalla caparra ben 400 euro, per essere risarcito dei danni da noi creati. Inutile la reazione delle professoresse, basite e sconvolte da questa denuncia, le quali hanno cercato più volte di far ragionare il personale dell’hotel, che invece ha deciso di sporgere denuncia e di contattare la nostra preside attraverso l’agenzia. Non ci è rimasto altro da fare che accettare la situazione e non domandare altro, nonostante fosse ovvio che ci avevano derubato sotto il nostro naso. I giorni rimanenti sono scivolati via, fra corse per riuscire a prendere l’ultima metro, francesi arroganti che si rifiutavano di darci qualsiasi informazione, passeggiate lungo gli Champs Élysées, un sogno che si avvera, e visite al museo d’Orsay e Versailles.
Nonostante fossimo partiti prevenuti, conoscendo l’astio dei francesi nei nostri confronti, mai avremmo pensato a una cosa simile; essere trattati in questo modo dall’hotel in cui si alloggia è il colmo! È stato comunque un bel campo scuola, siamo tornati stanchi, un po’ amareggiati, ma meravigliati da una delle città più belle del mondo.

Francesca Risi, II C

Agenzie di rating: cosa sono?

Dal temuto default rischiato a Novembre alla riforma “salva-Italia” non si è attenuata la difficoltà del nostro Paese nel risanare il debito e, quel che è peggio, assicurare ai cittadini stabilità economica. 
A peggiorare la situazione hanno contribuito anche le cosiddette agenzie di rating, nate intorno ai primi anni del Novecento negli Stati Uniti. Sebbene molte tra le autorità mondiali abbiano denunciato lo strapotere di queste aziende e abbiano messo in guardia dall’affidarsi ciecamente e costantemente ai loro giudizi, si pensi al presidente della BCE, Mario Draghi, secondo il quale sarebbe meglio “imparare a vivere senza le agenzie di rating”, il ruolo che esse hanno rivestito negli investimenti internazionali degli ultimi mesi è stato determinante. 
Ma cosa sono queste agenzie? I mass media si sono largamente occupati della questione dei declassamenti (e forse il polverone alzato da giornali ed emittenti televisive ha dato loro un’importanza spropositata), ma non considerando il pubblico a cui si rivolgevano non si sono preoccupati di spiegare di cosa si occupano.
Esse valutano quanto un’impresa, una banca, un governo, uno stato ecc. siano in grado di ripagare
i propri debiti e le forze che queste possono mettere in campo per ridurli. Per questo i loro giudizi
influiscono molto sul “rischio di credito”, ovvero l’interesse che i debitori devono pagare ai propri creditori, indirizzando o meno il favore del mercato verso l’impresa, governo, stato ecc. (ovviamente se il rating è alto l’interesse da pagare si riduce). Vi sono due tipologie di giudizio, a lungo termine e a breve termine. Il primo consiste nel calcolo della probabilità che un evento avrebbe sulla capacità di uno stato, società, governo ecc. di risanare il proprio debito e si esprime attraverso tre giudizi: “positivo”, ”negativo”, ”stabile”. Il rating a breve termine invece è un un’indagine svolta in un lasso di tempo di 60-90 giorni, sulla capacità di risanare il debito entro i 12 mesi, che comporta un declassamento o una promozione in base ai giudizi “positive”, “negative”, “developing”.

giovedì 17 maggio 2012

Nel laboratorio di Villa Sciarra

Cronaca semiseria del progetto "Scienziati in erba"

Eccoci qui, appena tornati da Firenze ancora un po’ stanchi e accaldati tra autobus, borsoni, Alberti, Galileo e belle conferenze universitarie… Se ancora non avete capito di cosa stiamo parlando, beh, adesso ve lo pieghiamo! La profesoressa Duranti ci ha proposto il concorso “ScienzAfirenze” che si tiene annualmente alla fine di Marzo nel polo scientifico dell’università di Firenze indetto dall’associazione Diesse Firenze, la quale quest’anno proponeva agli studenti di portare dei modelli costruiti da loro, con l’aiuto dei loro insegnanti, per dimostrare fenomeni fisici, chimici o biologici. Appena abbiamo saputo di questa opportunità abbiamo deciso di aderire portando non uno, ma due progetti, sempre perché a noi piace distinguerci per lo stile!
Aiutati dalla professoressa Duranti e con la partecipazione straordinaria del tecnico del laboratorio Claudio Aprile, della professoressa Flavia Gravina (docente di biologia marina all’Università la Sapienza, molti di voi la ricorderanno per un coinvolgente intervento in un’assemblea d’istituto) e del professor Stefano de Felici ci siamo messi a lavoro verso Novembre sviluppando i nostri due progetti: nel primo ci siamo proposti di confrontare la composizione della fauna di piccoli artropodi del suolo del nostro caro parco di Villa Sciarra in zone meno calpestate (sotto un cespuglio) e in zone più calpestate (il sentiero su cui spesso corriamo) per scoprire se ci fossero differenze in termini di fauna tra queste due; l’altro esperimento, invece, si proponeva di verificare il tempo di biodegradazione e quanto materiale effettivamente si degradava e come, prendendo in esame diversi materiali (buccia di banana, mater-bi, carta e plastica) nelle zone più e meno calpestate.

Il potere dei sogni

Nella quotidianetà sembra scontato svegliarsi la mattina, vestirsi, sentire gente che parla e parlare noi
stessi dicendo ciò che pensiamo, ciò che ci piace, ciò che sognamo. 
Già… I nostri sogni, ma ci crediamo davvero o pensiamo che siano solo una chimera irragiungibile? A volte non ci pensiamo affatto, forse, nella vita che va avanti veloce, eppure quante persone sono in grado di mettere in gioco la loro esistenza e le loro certezze per raggiungere un obiettivo fantastico e lontano? Un po’ di tempo fa mi è capitato di leggere un libro di uno dei miei scrittori preferiti, Luis Sepulveda, un cileno nato nel 1949 che fin da giovane aveva combattuto per un sogno di libertà e pace nel suo paese, una di quelle nazioni latino-americane nate da appena 100 anni con tanti dubbi e contraddizioni, povertà e squilibri sociali. Sepulveda aveva creduto nell’esperimento democratico del presidente Allende, eletto (e sottolinerei questa bella parola) nel 1970, un nuovo Cile che doveva eliminare le disugualianze sociali, garantire parità di diritti, superare le differenze raziali; ma il sogno ebbe vita breve, appena tre anni bastarono al colonnello Pinochet per caricare bene il suo fucile e puntarlo contro il presidente eletto. 
Seguì la dittatura militare, la fine del sogno e l’inizio della tragedia dei desaparecidos e dei nemici politici, tra cui un posto di riguardo era stato  riservato anche al nostro Luis, che fu costretto all’esilio in Europa, dove tuttora risiede, benché la dittatura sia finita e il despota morto. Come si sentirà un uomo che ha vissuto e lottato anni per un sogno di libertà dopo che è bastata una frazione di secondo per mandarlo all’aria e costringerlo addirittura ad abbandonare il proprio paese e tutte le certezze che aveva avuto fino a quel momento? Luis ne uscì ancora più convinto del Potere dei Sogni. 
Strano, eh? Eppure proprio questo è il titolo di uno dei suoi libri pubblicati durante il periodo dell’esilio, durante quelli che avrebbero dovuto essere anni bui di silenzio e meditazione. È davvero
incredibile leggere questo libro, che è una raccolta di alcuni interventi e discorsi che il poeta tenne in vari paesi e momenti, perché traspare una forza e un desiderio di cambiare il mondo in meglio correlata dalla certezza forte, tangibile che ciò è possibile, che rende i suoi interventi non come altisonanti slogan da proclamare davanti ad un pubblico di falliti che cerca un riscatto in belle parole in cui non crede davvero, ma a persone vive che hanno un infinito dentro pronto a esplodere, eppure in una lacerante e problematica inerzia. 
È come se, nonostante la sconfitta, Luis non si sentisse affatto ridimensionato, ma forse il “Potere dei Sogni” è proprio questo, cioè rendere la vita di coloro che li inseguono sensata a prescindere, come se vittoria o sconfitta fossero solo dettagli di un’esistenza che ha un senso, perché insegue qualcosa e lo crede davvero.

“Solo sognando e restando fedeli ai sogni riusciremo a essere migliori e, se noi saremo migliori, sarà
migliore il mondo.”

Simone Caliò II D

Gli anni dell'aggressione

Forse non tutti sanno che poco prima della manifestazione del 9 marzo della FIOM (Federazione Italiana Operai Metalmeccanici) a Roma, davanti al liceo scientifico A. Righi alcuni studenti che facevano volantinaggio prima di unirsi al corteo sono stati aggrediti da militanti di “Controtempo”, un gruppo di estrema destra. Gli studenti sono stati pestati con pugni e caschi: tre di loro sono
finiti in ospedale e il più grave ha un trauma cranico. Il metodo, purtroppo, ricorda quello delle
squadraccie fasciste o degli scontri degli anni ’70 tra gli studenti. Il giorno dopo molti professori
del Righi hanno tenuto delle lezioni sui valori di tolleranza e democrazia; gli studenti hanno
appeso uno striscione che recita: ”Fuori i fascisti dalle scuole”; dai colleghi del Tasso è arrivato un
comunicato di solidarietà mentre la polizia piantonava l’ingresso del liceo. I rappresentanti del
Righi hanno indetto un’assemblea straordinaria per martedì alla quale hanno invitato il segretario
della FIOM Maurizio Landini. Il vicepresidente del consiglio dell’ XIX municipio ha dato la colpa
alla scarsa sorveglianza della polizia, mentre le opposizioni accusano il sindaco di aver perso il
controllo della situazione.
“Controtempo” ha negato l’aggressione e il presidente della provincia Zingaretti ha espresso solidarietà agli studenti in ospedale. Gli unici a non aver reagito sono stati il sindaco Alemanno e la stampa, compresi i TG nazionali e regionali; solo i giornali locali hanno riportato la vicenda. Ancora si aspettano comunicati dal Campidoglio che non ha condannato questo episodio di violenza. Sembra che, in fondo, il sindaco non sia in grado di garantire quella sicurezza, tanto invocata in campagna elettorale, viste le aggressioni e i troppi omicidi che hanno scosso la città. Il primo cittadino sembra invece più allarmato dalle manifestazioni visto che continua a dirsi preoccupato a riguardo.

Luca Busetta

The Help

Mississippi, America anni sessanta.
Una casalinga giovane e volenterosa tocca con mano l’ipocrisia del suo tempo e, rompendo canoni e convenzioni, dà voce e cuore alla protesta. Un film corale, dove perbenismo e ipocrisia dei bianchi si misurano con la volontà di riscatto di altri.
Sono gli anni di M. Luther King e Kennedy, del sogno infranto di una America diversa che, prendendo coscienza dei suoi difetti, si proponeva al mondo come modello di rivoluzione sociale e culturale.
Stessi anni, diversa rappresentazione: l’atmosfera arida e fredda che avvolge la contea di Jessup in
Mississipi Burning mette angoscia. Stesso il tema, altra la sensibilità cinematografica, altri gli interpreti della realtà locale: nel film di Alan Parker l’agente Anderson - interpretato da Gene Hackman - scardinerà l’omertà di quella cittadina opponendo brutalità a violenza, infrangendo la legalità pur di sconfiggere complicità e diffidenze e consegnare alla giustizia i responsabili della morte di tre giovani attivisti.
Lo scopo è prendere a cazzotti l’America benpensante mostrandole una realtà che, anche se sconfitta dalla modernità del pensiero, non si separerà facilmente dalle sue profonde radici.
Cosa lega questi ad altri film, quel tempo al nostro tempo? L’emozione che genera ancora il gesto di Rosa Parks, la donna che, caparbiamente, decise quel giorno di non cedere il suo posto sull’autobus al bianco di turno, è ancora viva e si riflette oggi nei volti dei senza diritti, delle tante persone che cedono o si ribellano di fronte ad un mondo che elargisce ed esclude secondo un copione non scritto.
Comune, a volte, è la rassegnazione; comune è la difesa cieca ed ottusa del proprio particolare che
non intende ragionare né condividere; comune è la rete, meglio dire la ragnatela, di piccole violazioni
quotidiane che imbarbariscono il nostro tempo, rendendoci sordi e distratti. Violazioni che ci dobbiamo incaricare di cancellare.

Greta Mariani, II E

lunedì 5 marzo 2012

Protect and Serve

All Cops Are Bastard. Tutti i poliziotti sono bastardi. Una frase che ha preso sempre più piede da un certo tempo a questa parte, nata negli anni ’80 fra i gruppi di skinhead e trasfigurata, col suo acronimo, in una pellicola cinematografica evento del momento: ACAB. Per quello che mi riguarda non è qualcosa che condivido, con cui mi trovo d'accordo; tutt'altro, mi sento proprio dalla parte opposta della barricata, ossia da quella parte che si ostina - forse ingenuamente, chissà - a difendere le forze dell'ordine.
Da brave persone abituate a servirsi di mezzi d'informazioni capillari quali siamo, immagino che tutti sapremo, magari anche solo per sentito dire, il motivo per il quale polizia e carabinieri sono di tanto in tanto al centro dell'attenzione dei media. Non starò qui ad elencare i vari casi Cucchi o Sandri, che, sempre da brave persone quali siete, suppongo conosciate per filo per segno. Preferisco concentrami su un caso molto più recente - non uso il termine attuale perchè volendo anche i sopracitati possono benissimo essere definiti tali - che si colloca all'interno dalla vicenda riguardante la costruzione della linea TAV in Val di Susa. 
Per chi non lo sapesse, con questa sigla si intenderebbe una nuova linea del Treno ad Alta Velocità che collegherebbe Torino e Lione: un progetto ipotizzato a inizio anni ’90 e che prevedrebbe, fra l’altro, la realizzazione di una galleria fra la Val di Susa, in Italia, e la Val Moriana in Francia, ed è proprio allo scavo di questo traforo che gli abitanti della Val di Susa si oppongono da anni con manifestazioni e proteste pacifiche.Qualcuno avrà forse visto le immagini, o sentito le cronache, di uno degli attivisti che in segno di protesta ha deciso di arrampicarsi su un traliccio della linea elettrica ad alta tensione, minacciando di appendersi ai cavi nel caso le forze dell'ordine non avessero abbandonato la zona. Che poi sia caduto è ormai notizia sulla bocca di tutti - seconda solo, forse, alla prematura scomparsa di Lucio Dalla - mentre sono sicuro siano in pochi ad essere a conoscenza delle parole del "leader" del movimento no-TAV a riguardo. "Luca (questo il suo nome) è stato fatto cadere dalla polizia."

Inspiro, ed espiro. Faccio mente locale. Cerco di chiedermi se dietro quella frase ci siano profonde implicazioni socio-psicologiche.

venerdì 10 febbraio 2012

Finalmente!

La redazione!

Anche quest’anno il nostro Liceo Marco Tullio Cicerone ha riunito vari studenti per dare vita alla nuovissima edizione del suo giornalino personale . Il titolo scelto per questa nuova edizione è “Ἔργα καὶ Ἡμέραι”, questo è il titolo di uno dei poemi didascalici più importanti di Esiodo, “Opere e giorni”. La funzione di questo poema era quella di voler esprimere a chiunque lo leggesse il vero significato del patrimonio generale delle conoscenze umane. Pertanto il nostro giornalino sarà un punto di riferimento per qualunque studente; attraverso di esso ognuno potrà utilizzarlo per esprimere un suo concetto o il suo personale punto di vista, sia scolastico che generale.

Francesca Vicaretti

Per guardare le altre foto, visita la nostra galleria!

martedì 7 febbraio 2012

Lettera Aperta: cos'è l'assemblea d'istituto?

Ricordiamo ancora la prima volta che partecipammo ad un’assemblea di istituto.
Eravamo - come ormai si dice nel gergo – alcuni dei tanti quartini , non lo neghiamo, forse fomentati come non mai e sicuramente emozionati oltre ogni limite al vedere per la prima volta così tanta gente, così tanti alunni, così tanti ragazzi alcuni dei quali sarebbero diventati nostri compagni o amici, tutti riuniti in una palestra che al tempo ci sembrava enorme e perfetta, e che oggi, a distanza di quattro anni, non possiamo fare a meno di vedere fatiscente e malridotta, con l’audio che rimbalza qua e là dal solito vecchio amplificatore, da una parete all’altra mentre qualcuno prende il solito vecchio microfono e grida le solite vecchie parole alle solite vecchie persone.
Eppure quattro anni fa era tutto diverso. C’era un non so che di magico, nell’aria, qualcosa che rendeva l’atmosfera degna di essere vissuta: forse erano gli sguardi carichi di timore reverenziale che noi più piccoli indirizzavamo ai più grandi,oppure le risatine imbarazzate e le occhiate furtive delle ragazze sempre dirette a questi mitici terzi, queste figure leggendarie che svettavano per i capelli rasta e per i modi di fare che oggi come ieri diremmo shalli, e forse per qualcuno dannatamente attraenti; o magari erano le parole, i discorsi che riuscivamo ad infiammarmi con un nonnulla e a trascinare la mia voce nei boati di approvazione.
Poi c’erano le persone: ah, le persone! Ricordiamo anche questo, che dalla nostra posizione eravamo sempre costretti ad alzare e spingere lo sguardo sopra la marea di teste per cercare di vedere qualcosa, per non parlare del fatto che riuscire a sentire una frase dal senso compiuto in mezzo al brusio della folla era niente di meno che un’esperienza eroica.
L’assemblea. Questo era per noi, un evento straordinario, il momento dove era possibile vedere davvero l’anima della scuola fatta da tutti i suoi quattrocento, cinquecento, seicento ragazzi.
Non pretendiamo, ovviamente, che quello che stiamo scrivendo in questo momento – e che voi state leggendo – debba essere preso come oro colato, come una verità incontrovertibile. Sarebbe stupido,nonché ipocrita, fingere di non avere mai avuto la tentazione di rimanere a casa a dormire, o di andare a farsi un giro a Via Sannio con gli amici. Ed era una tentazione forte, altroché! Eppure, in qualche modo, sentivamo che mancare all’assemblea era qualcosa di fuori dall’ordinario.

Cicerone a Parigi

Parigi: la città dell’amore, della rivoluzione, delle baguette. Quanti di noi non sognano di passeggiare fra i suoi boulevard, di ammirare incantati la tour Effeil, i suoi musei, o di sfogliare i libri delle bancarelle lungo la Senna? Un campo scuola, o come si preferisce chiamarlo viaggio d’istruzione, in questa splendida città si è trasformato in un’Odissea. Insomma, sappiamo che nella nostra scuola non tutto funziona alla perfezione, ma ci si aspetta che almeno in questo campo ci sia una certa professionalità. Non immaginiamo neanche cosa c’è dietro l’organizzazione di un viaggio:agenzie, gare d’appalto, la segreteria… Anzi, nessuno di noi lo sapeva fin quando non siamo stati coinvolti. Che dire, inizialmente quest’idea ci ha interessato e incuriosito e ognuno di noi è subito partito alla ricerca della migliore offerta in questa o in quell’agenzia, quasi fosse una gara a chi trovava il prezzo più basso da presentare a questa fantomatica gara d’appalto. Ma cos’è questa misteriosa gara d’appalto?

15 Ottobre, io c’ero!

14 Dicembre 2010 vicino Monte Citorio,15 ottobre 2011 piazza San Giovanni (Roma). Questi sono i luoghi e le date che ci ricordano più di ogni altro le proteste contro i tagli alla suola pubblica effettuati dal governo precedente, le occupazioni e i cortei avevano coinvolto tutte le città italiane, protestavamo per gli 8 miliardi tolti alla scuola, le strutture fatiscenti e la precarietà. Io ero presente ad entrambe le manifestazioni che ho citato e me ne ricordo come se fosse ieri: il 14 dicembre ero partito con dei compagni di scuola ma presto sono rimasto solo a causa della confusione creata dagli scontri con la polizia. Il corteo è passato davanti ai licei occupati e al ministero delle finanze prima di dirigersi verso  la camera per influenzare l’ennesimo voto di fiducia ma questo ha provocato la reazione degli agenti in assetto antisommossa. Avendo perso di vista i compagni della mia scuola sono tornato a casa per non farmi coinvolgere negli scontri. La manifestazione si  rivelò un fiasco il governo ottenne la fiducia e gli scontri diedero un’opportunità all’allora  ministro  dell’istruzione Gelmini per condannare la protesta. Tutt’altra cosa era il corteo di piazza San Giovanni e di ben altra rilevanza poiché non erano, come il 14 dicembre, solo gli studenti a scendere in piazza ma anche  precari, insegnanti , ricercatori e soprattutto cittadini erano venuti a Roma da ogni parte d’Italia. Il 15 ottobre  era la giornata internazionale del movimento we are 99%,da noi meglio conosciuti come indignati, nato in Spagna con gli “indiñados”.Quel giorno scendevano in piazza 90 capitali e 900 città in tutto il mondo e proprio a Roma era atteso il numero maggiore di persone(500.000 ca.).

L'ignoranza è forza

Bamboccioni, sifgati, perdigiorno…l’altra faccia dell’Italia.
"L’ignoranza è forza"
In un mondo ormai sempre più cosmopolita ecco che fine fa la cultura.

Nel suo celeberrimo “1984” George Orwell scriveva a manifesto del fantomatico Partito Socialista Inglese “La guerra è pace, la libertà è schiavitù e l’ignoranza è forza”. Tanti anni dopo, e soprattutto in una realtà che non è finizione letteraria ,questa lapidaria sentenza torna a farsi sentire, forte e amara come solo una predizione sa essere. 8 miliardi di euro sono quelli che la scuola pubblica italiana ha visto volatilizzarsi sotto i suoi occhi, sono i tagli che hanno dato origine a infinite proteste, purtroppo vane. A nulla sono serviti insegnanti, studenti e personale in piazza per dire No,per difendere il proprio futuro; per riconferire la dignità di un tempo a una parola, cultura, troppo spesso generalizzata e sminuita. A nulla serve ora girare per le scuole italiane costrette in edifici fatiscenti, con ore di buco scoperte e materiali quasi totalmente assenti. A nulla serve ora osservare inermi lo spettacolo del proprio paese e del suo futuro che giorno dopo giorno perdono le speranze. Sorge spontaneo a questo punto l’amaro ma obbligatorio paragone con gli altri paesi dell’Europa per scoprire che l’Italia investe solo lo 0.67% del PIL nell’educazione superiore, ben lungi dallo 0,92% della media Ue;per non parlare del 1,14% investito da Dublino. Ovviamente i dati lasciano sgomenti, sembra infatti che il nostro paese abbia scelto definitivamente di abbandonare la formazione scolastica del suo futuro; infatti questi fondi sempre più esigui inducono la nostra scuola pubblica a dover rispondere in maniera drastica alla mancanza economica. Ma chi, in fin dei conti, ne fa veramente le spese?

Seconda stella a destra, questo è...il futuro.

C’è una strana atmosfera in giro per il mondo, un rivolo di aria viziata che accomuna piazza Tahrir, gli Indignados, la crisi economica, il problema iraniano, le proteste dei lavoratori, piazza Syntagma , MEGAVIDEO e molto, molto altro ancora. Sono davvero anni carichi questi primi 12 del 2000 e gli ultimi mesi lo sono stati anche di più, tanto che i numerosi canali di news 24 ore su 24 di certo non hanno sofferto per la mancanza di scoops. Leggendo i giornali e vivendo un po’ questa realtà non si può che rimanere perplessi, volendo usare un eufemismo, e scoraggiarsi, soprattutto se si è giovani, soprattutto se si è sui banchi di scuola, soprattutto se si è in un liceo a studiare e in quelle mura si coltivano i sogni per il futuro. Sembra quasi strano oggi pronunciarla la parola “futuro”, perché sembra proprio che il futuro sia poco importante, oscurato da un presente ingombrante, scomodo, che permette di spostare lo sguardo soltanto al “domani” e non più in là, non all’orizzonte, non al “futuro”. È triste dire questo, ma purtroppo è vero, oggi si sta sacrificando il futuro e si fanno solo manovre politiche ed economiche conil fine di salvare il presente e allora vengono tagliati i fondi alle scuole, alle università e ai ricercatori (la ricordiamo tutti molto bene la cara Gelmini), la cultura diventa qualcosa di secondario e trascurabile (Pompei e Colosseo docent), e il problema ambientale da sempre boicottato e minimizzato diventa fondamentale solo quando si tratta di raccimolare qualche pugno di voti alla vigilia delle elezioni . Beh d’altronde credo che non si possa biasimare questo comportamento, che adesso come adesso è necessario per garantire la sopravvivenza dell’Europa e dello stile di vita a cui siamo abituati, ma ogni tanto mi fermo a pensare a tutto questo e mi chiedo: ma allora qual è il nostro scopo se il futuro non ha importanza?

Some special days: la nostra cogestione

Da qualche anno il liceo Marco Tullio Cicerone di Frascati aderisce con entusiasmo all'iniziativa della cogestione. Ma che cos'è la cogestione?
Si tratta di alcune giornate di corsi alternativi, proposti dagli studenti stessi e grazie ai quali essi hanno la possibilità di dare spazio ai loro interessi, in sostituzione della didattica tradizionale. Anche per quest'anno i rappresentanti d'Istituto, con l'appoggio del dirigente scolastico, si sono attivati per realizzare il progetto in questione: nel caso questo vada seriamente a buon fine, ne è previsto lo svolgimento nel mese di giugno, nel corso dell'ultima settimana di attività didattica, nella sede centrale dell'istituto. Le attività che caratterizzano la cogestione avranno luogo per tre o quattro giorni, in orario scolastico, con una durata di circa quattro ore quotidiane. Esse si terranno negli interni della scuola (aule,laboratori e palestra) e negli spazi esterni ad essa, quali il parco di Villa Sciarra ed il cortile dell'istituto stesso. Fino ad oggi sono stati proposti circa sedici corsi, ma ce se ne aspettano ancora molti altri; inoltre la didattica alternativa è ovviamente gratuita e potrà essere svolta con l'ausilio di docenti interni alla scuola, di persone esterne ad essa o degli studenti stessi.

Commercio equo e solidale

Appena squillò la tromba
tutto era pronto sulla terra,
e Geova divise il mondo
tra Coca-Cola Inc., Anaconda,
Ford Motors, e altre società:
la Compagnia United Fruit
si riservò la parte più succosa,
la costa centrale della mia terra,
la dolce cintura d’America.
Ribattezzò le sue terre
“ Repubbliche Banane”,
e sopra gli inquieti eroi
che conquistarono la grandezza,
la libertà, e le bandiere,
instaurò l’opera buffa:
cedette antichi benefici,
regalò corone imperiali,
sguainò l’invidia, e chiamò
la dittatura delle mosche,
mosche Trujillo, mosche Tavho,
mosche Carias, mosche Tartinez,
mosche Ubico, mosche umide
d’umile sangue e marmellata,
mosche ubriache che ronzano
sopra le tombe popolari,
mosche da circo, sagge mosche
esperte in tirannia.
Tra le mosche sanguinarie
sbarcò la Compagnia
stipando di caffè e frutta
le sue navi che poi scomparvero
come vassoi con il tesoro
delle nostre terre sommerse.
Frattanto, entro gli abissi
pieni di zucchero dei porti,
c
adevano indios sepolti
dal vapore del mattino:
rotolò un corpo, una cosa
senza nome, un nome caduto,
un grappolo di frutta morta
finita nel letamaio.
(La United Fruit Company, Pablo Neruda)

Nei paesi sottosviluppati del Terzo mondo operano oggi le grandi multinazionali, società che hanno la loro sede madre in patria e molte filiali all’estero e che sfruttano le risorse minerarie dei paesi del Sud del mondo, detenendo il monopolio della produzione e del commercio di molti prodotti, quali banane, caffè e cacao. Esse comprano grandi appezzamenti di terreno, destinandoli a monoculture, coltivandoli intensivamente ed affidandosi alla manodopera locale poco costosa e sfruttata. I contadini che lavorano per le grandi società infatti non hanno alcun diritto sindacale e lavorano consecutivamente anche per 10-12 ore al giorno in condizioni disumane. Insomma, le grandi società si impadroniscono dei mercati traendone grandi guadagni, mentre le popolazioni del Terzo Mondo di impoveriscono sempre di più, non traendo profitti pur lavorando le proprie terre. In poche parole: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Spesso le multinazionali si inseriscono nei conflitti politici, sostenendo ad esempio governi autoritari o dittatoriali, acquistando la benevolenza del potere pur di accrescere i loro guadagni. Le multinazionali quindi come cause che impediscono lo sviluppo democratico ed economico dei paesi meno ricchi.

Musica dei giovani di oggi: dai Beatles a Justin Bieber

I tempi rivoluzionari degli anni '60 e '70 sono finiti, all'adolescente moderno non interessano le canzoni innovative dei mitici Beatles né quelle socialmente impegnate del grande Dylan, per citare solo due dei nomi che hanno reso grande la Musica con la “M” maiuscola. Dagli anni '80 in poi, si è passato sempre più gradualmente ad una tipologia di canzone parzialmente commerciale, due dei nomi che possiamo citare sono senza dubbio “Re e Regina del Pop”: Michael Jackson e Madonna, precursori di tutti quegli “artisti” che hanno fatto fortuna nei due decenni successivi. Senza dubbio, un ruolo fondamentale nel radicale cambiamento operato all'interno dell'industria musicale è stato giocato dai mass media: non a caso, molti attori di grande e piccolo schermo intraprendono la carriera del canto e viceversa; per non parlare della quantità di riviste sul mondo dello spettacolo che si vendono ogni anno nel mondo. Gli accordi, la voce vibrante del cantante, la profondità dei testi … ormai nel mondo della musica conta tutto tranne ciò che è più importante.
La musica è diventata cinema, il cinema è diventato musica, i due mondi, prima ben separati, si sono attualmente quasi uniti. Non sarebbe poi così male, se non fosse che questo stratagemma è utilizzato quasi esclusivamente per raddoppiare il successo personale.

Classiciste in palestra

Si apre l’edizione 2011/2012 del Torneo Interscolastico di Pallavolo, che vede fronteggiarsi sui campi le atlete degli Istituti Superiori dei Castelli Romani. Le 4 squadre partecipanti si scontreranno per riuscire ad aggiudicarsi, al termine dei gironi eliminatori, l’accesso alla fase successiva, a livello provinciale.
Anche il Liceo Cicerone per il terzo anno consecutivo ha offerto alle proprie studentesse l’opportunità di giocarsi la vittoria e ribadisce ancora una volta l’alto livello delle sue atlete, mantenendosi al secondo posto dietro al Liceo Scientifico Bruno Touschek. Perso il primo match contro le ragazze dello Scientifico di Grottaferrata, le nostre ragazze si sono rifatte immediatamente contro il Liceo Classico Ugo Foscolo di Albano, imponendosi per 3-0.
Ripetuta la vittoria contro il Liceo Scientifico Sandro Pertini di Velletri, con un parziale di 2 set a 1, alle nostre giocatrici non rimane che sperare nel ripescaggio, aperto ai migliori team secondi in classifica nei gironi eliminatori.
In campo contro il liceo Touschek, in divisa rossoblu, il capitano Cristina Lianas, III D, nel ruolo di primo martello; i due centrali Ilaria Angradi, IIA, ed Alice Silvestrini, IV C; Marta Morabito, III A, alzatrice; Cecilia Orsini, IIIA, secondo martello e il libero Lavinia Giorgi, III D.In rosa anche Viola Cupellini, III A, martello, Francesca Orabona, II D e Giorgia Durastante, II D.
Leggermente modificata, invece, la formazione che il professor Giovannotti ha schierato in campo contro il Liceo Ugo Foscolo ed Il Liceo Sandro Pertini, con Giulia Alecci come martello e Vittoria Palazzo, III D, opposto.

Cecilia Bufano

Racconto senza nome

Siamo abituati a sentir parlare dei grandi scrittori,o meglio Scrittori, della storia: Manzoni, Proust, Verga, Kafka, Alighieri, Austen, Pirandello…Ma per cominciare a sentir parlare di noi, dobbiamo parlare di gente come noi.
C’era una volta un uomo che scriveva inizi, sì avete capito bene, inizi. Era, di professione, uno scrittore fallito. Da giovane aveva sognato di scrivere libri, storie, racconti, dar voce alle parole che sentiva nel cuore, ma aveva da sempre dovuto convivere con un grosso problema. Prendeva la penna, la carta, le idee, sedeva sul tappeto in salotto, col gatto grassoccio sdraiato di fianco e iniziava a creare. La mano partiva a scorrere immediatamente, incantata dal flusso dei suoi pensieri, l’inchiostro ballava sul bianco del foglio come una coppia di sposi, le lettere si abbracciavano vibranti della passione che lui le donava, ricami di parole bellissime e intense come tramonti colavano veloci sulla pagina. Cinque, poi dieci, poi venti righe, poi…basta. D’improvviso la magia si bloccava, come una melodia di Beethoven interrotta sul più bello. La penna s’immobilizzava, il bianco del foglio si mangiava le lettere nere ed egli non era più in grado di continuare.
Perché accadesse così al nostro amico scrittore (fallito, ricordo) resta un mistero. Scriveva venti righe delle più belle, più intense e armoniose mai viste e poi si bloccava. Pensava e pensava fino ad aver mal di testa ma niente, non una frase, non un’idea.
Aveva cercato più e più volte di superare questo suo blocco: lezioni di scrittura, seminari tenuti dai più eminenti professori del suo paese, visite mediche, persino sedute di ipnosi … niente aveva avuto successo. La penna dalle venti righe non si smuoveva. Un giorno aveva avuto un’idea che gli era subito parsa brillante, aveva pensato: “Se oltre le venti righe la penna non va, occorre che io scriva la storia su fogli diversi, venti righe su uno, poi venti su un altro e così via a creare un racconto a pezzetti!”. Ma di nuovo niente da fare: di ogni storia riusciva ad inventare venti righe soltanto. Povero amico scrittore di inizi!

Pagelle del primo quadrimestre: timori e speranze

Il tempo passa e il giorno degli scrutini (e delle pagelle) si avvicina sempre di più. Infatti il trentuno gennaio si è concluso il primo quadrimestre e i professori hanno fatto gli scrutini e poi, nella prima metà del mese di febbraio, ci verranno consegnate le schede di valutazione con i nostri risultati di questi primi quattro mesi. Per moltistudenti le schede di valutazione significano timore, timore per paura di non aver preso la sufficienza o per paura di prendere un voto più basso del desiderato. Per altri studenti invece significano speranza; speranza di prendere la sufficienza o di essere migliorati in qualche materia rispetto all’inizio dell’anno.

Io non sono sbagliato, prima puntata

Ok. Va tutto bene. Un sorriso, forse finto. Un respiro, per contenere rabbia repressa. Contro chi? Non lo sapevo. Un passo, lento, infinito. Una corsa immobile. Avrei voluto correre, correre via da tutto ciò, correre via da loro, da me stesso. Un altro sospiro. Un altro sorriso. Lui mi diede una pacca sulla spalla. Sorrideva. Lui scherzava. Lei mi abbracciò. Un cellulare trasmetteva all’infinito la stessa assordante canzone, note sconnesse tra loro che non esprimevano né gioia, né tristezza, solo battiti, così, senza senso. Così, senza senso come i battiti del mio cuore.
Un altro sorriso. Voglia di urlare. Ma perché? L’abbraccio si era sciolto. Che diceva lui? “…Giulia…” Boh. Rabbia. Alzai lo sguardo: un cielo azzurro, privo di ombre, così limpido e terso era in netto contrasto con i miei pensieri così confusi, affollati e opprimenti, così sfuggenti. Avrei voluto poterli afferrare per fare chiarezza, ma avevo paura, paura di me stesso. Quel cielo era sprecato per la giornata. Voglia di piangere. Non importa. “Cammina, cammina ma non correre, non scappare,” mi dicevo, “…autocontrollo”. Che schifo l’autocontrollo, la razionalità, la calma, la pazienza, tutte difese inutili che ti proteggono dall’esterno lacerandoti dall’interno. La suoneria di un telefono mi riportò sulla terra.
-Che hai?
-Che ho?
-Boh sei strano.
-Sono stanco.- Sorriso. Sospiro. Passi. Sospiri, musica, sorrisi, abbracci, rabbia, tristezza, amore, odio, voglia di piangere, voglia di correre, voglia di evadere, voglia di volare. Voglia che tutto quel che c’era non fosse mai esistito. Voglia che tutte quelle bugie scomparissero al vento. O forse verità? Voglia di picchiarlo, di riempirlo di pugni, di spaccargli il naso e di vederlo soffrire come stavo soffrendo io a causa sua… o a causa mia? Voglia di abbracciarlo. Voglia di tornare indietro nel tempo, a quei pomeriggi di cazzeggio davanti la tv, a quelle partite infangate nel campetto dietro scuola, a quell’ intesa, ai tempi di quell’ amicizia che lui, inconsapevolmente, stava portando via. Dicevano che forse domani avrebbe piovuto. Domani? Domani ci sarebbero stati solamente i soliti sorrisi, la solita rabbia, i soliti sospiri. Il solito autocontrollo. Giulia. Ma vaffanculo. Lui e Giulia. Due coglioni.

Oceano Mare, di Alessandro Baricco

Concedetevi un’occhiata alla copertina, bellissima; lasciate perdere le poche righe scritte sul retro che vorrebbero riassumere la storia ma che falliscono miseramente. Aprite solo il libro e lasciatevi trasportare dalle parole.
Una ragazza afflitta dalla malattia della paura, ma che vuole vivere, vivere. Un pittore che cerca di dipingere il mare e che riesce a trarne solo tele bianche. Una donna che deve guarire dalle passioni e dai desideri che l’hanno portata all’adulterio. Un professore alla ricerca dei limiti del mondo. Dei bambini dalle eccezionali capacità, brillanti ed accattivanti, saggi persino. Un uomo perduto, forse, ma determinato. Più di un uomo perduto, anzi. Ed una locanda, una locanda proprio davanti al mare. All’Oceano Mare. Quel mare che ammalia e distrugge, che è possente e affascinante padrone, un mare la cui forza è irresistibile, un mare che è malattia e cura.
La storia di queste vite che si incontrano e poi si allontanano, per incontrarsi di nuovo, percorsi che si intrecciano, amori che nascono e muoiono all’istante, rapporti basati su una particolare e scrupolosa complementarietà, curiosa, anche. Il modo in cui ogni singolo personaggio trova la fine adatta a lui, un finale a tratti inaspettato, a tratti no, come tanti fili di un unico ricamo confuso che vengono riordinati e riappuntati, ognuno nel posto a loro predestinato, fino a formare un disegno perfetto.