venerdì 5 aprile 2013

The Wall: We don't need no alienation (?)

I muri sono davvero crollati?

Viviamo nel mondo in cui sembra di non essere mai soli, quello in cui possiamo condividere la nostra vita in tempo reale con quasi tutto il mondo, ma davvero possiamo dire di aver buttato giù il muro dell’alienazione? Abbiamo avuto modo di conoscere l’alienazione delle famiglie chiuse nelle loro case dai racconti delle due guerre mondiali, l’alienazione di quei popoli oppressi da forme di dittature (la Spagna franchista, la Germania di Hitler, la Romania di Chauchesku, il Cile di Pinochet…) che da alienazione civile diventa alienazione personale per la mancanza di libertà imposta ai cittadini (opprimente per chi ne sente la necessità). Una riflessione profonda su questi concetti è portata avanti da Roger Waters nell’album “The Wall” dei Pink Floyd attraverso la vicenda personale del giovane Pink. 
Pink è una rock star che sta per calcare il palco del suo grande, enorme concerto, l’acme del suo successo. Partecipano milioni e milioni di ragazzi, una folla delirante, confusa, che sembra non capire proprio che la musica, in realtà, è ascolto, passaggio complesso di emozioni tra chi compone e chi si lascia trasportare dalla melodia. Al pubblico tutto questo sfugge, Pink vede una folla bestiale, una folla alienata. Alienazione è la condizione di tutti quanti: di Pink, che sente che il suo lavoro, per quanto “partecipato” è tutt’altro che capito, e della folla, chiusa nel solo pensiero di fare casino. Perché deve salire su quel palco? Siamo tutti alienati, nessuno quasi si accorge della presenza degli altri. Perché siamo alienati? La vita umana è in realtà una corsa al condizionamento scandita da tappe fondamentali che sono i “mattoni” del muro della nostra alienazione. Partendo dalla sua infanzia, Pink riflette sul momento in cui il “thin ice” degli affetti stabili costruiti dalla sua famiglia non è stato più in grado di sorreggere il peso del bambino ormai cresciuto, cioè del bambino che pensa. Alla luce del pensiero si rivelano tutte le costrizioni sociali che creano l’isolamento dell’individuo che nemmeno si accorge di essere un alienato, lo prende come un dato di fatto senza darci troppa importanza e che, anzi, trova necessario farlo. Risuona spesso la frase “all in all it was just a brick in the wall”, dopotutto è solo un mattone nel muro. 

L’educazione porta a doversi inserire in uno schema di valori, in moduli comportamentali che vengono veicolati da persone a loro volta alienatissime, cioè una famiglia compulsiva, la terribile istituzione scolastica, la morale sessista. La vita non è un “essere” ma un “dover essere”. In balia di questi alienati alienanti Pink si ribella, alza alto il suo grido “we don’t need no education! We don’t need no tought control!” ma proprio il momento della fuga dal mondo e dai condizionamenti si prefigura come l’atto della costruzione del muro; benché conscio che quell’educazione che sta ricevendo non farà altro che metterlo in una “gabbia sociale”, cioè una privazione della propria libertà di pensiero, non può fare altro che chiudersi dietro una “trincea”, cioè isolarsi a sua volta . Gabbia e trincea sono entrambi simboli dell’alienazione, sono entrambi “muri” della solitudine. Ad ogni modo è già troppo tardi per scappare: i “Vermi” delle convenzioni sociali sono già all’interno della nostra mente. Ecco che allora, un mattone dopo l’altro, il muro viene su e il grido allucinato di Pink, che si accorge di essere alienato, anzi, di essersi alienato, diventa sempre più debole: prima una specie di preghiera ad un interlocutore sconosciuto (don’t leave me now), poi una specie di lettera prima del folle atto del suicidio (goodbye cruel world). Dietro il buio e il silenzio del muro la depressione, la solitudine, il senso di inutilità e di nonsense. È arrivato il momento di farla finita? Nelle ultime parole prima del suicidio Pink balbetta, si ferma sull’unica frase "goodbye cruel world" per non riuscire ad andare avanti, non riesce nemmeno a suicidarsi. Non sa nemmeno spiegare perché vuole morire, perché il mondo è crudele. Anche l’associazione mondo-crudele è uno stereotipo. Pink è entrato del tutto a far parte degli alienati, di coloro che hanno i Vermi all’interno della loro testa che non gli permettono di pensare, di vedere al di là del muro: Pink è diventato un altro di quelli che, tra l’accettare la gabbia e il trincerarsi da solo non è riuscito a trovare nient’altro. Non ha mai vissuto, il muro è sempre stato all’interno della sua mente. La risposta non è allora morire dietro quel muro, m vivere al di fuori di questo. 
Deve uscire, uscire, uscire! Si rende conto che è confinato nell’alienazione imperante del nostro secolo, vede che ogni “comunicazione” è mediata da barriere invisibili che non gli permettono di passare al di là di rapporti convenzionali per arrivare ai rapporti più emozionali, profondi.
Ogni comunicazione avviene attraverso un “telefono” unico filo che unisce gli uomini-alienati ognuno dietro il proprio muro. Dopo il grido disperato di “hey you” che si chiude con un emblematico “together we stand, divided we fall” inizia la rincorsa alla vita, cioè alla ricerca dell’altro, unico modo per uscire dalla solitudine dell’alienazione. Pink è ancora una rock star che deve salire sul palco ma che non ha nessuna intenzione di farlo, avvolto nel viluppo stretto dei suoi pensieri e della sua alienazione. Deve farlo. Pink deve essere! Un medico-alienato lo droga affinchè salga su quel palco e sia quello che deve essere e il concerto, parata del conformismo degna del peggior nazi-fascismo (a detta dello stesso Waters), alla fine si fa. Nell’istante di straniamento dovuto alla droga tutto quanto sembra tornare ad avere un senso per Pink che, però, ben presto si rende conto che è solo un modo di eludere il muro, non di abbatterlo. La sfida per buttare giù quel dannato muro passa attraverso la lotta contro quei vermi che il conformismo alienante insinuano nella nostra mente e che, come semi, germogliano e crescono rigogliosi, semi di tranquillità se si accetta passivamente ogni convenzione sociale, semi di follia nel caso in cui ci si fermi a riflettere sul significato profondo di questi stereotipi, semi di alienazione in entrambi i casi. La risposta è affrontare i Vermi, sconfiggerli e abbattere il muro trovando il coraggio di pensare senza condizionamenti e di esprimere la diversità che è in noi, perché sostanzialmente, nascondersi dietro il muro che ci viene imposto o rifugiarci dietro quello che noi stessi costruiamo non è che un modo per non avere responsabilità, non pensare con la nostra testa. Siamo sicuri di non trovarci dietro un muro conformizzante?

Simone Caliò,  IIID

Nessun commento: