domenica 18 novembre 2012

Se un errore è un diritto

"Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere".
Dichiarazione universale dei diritti umani, 1948.
Un testo che tanto spesso viene dimenticato o, ancora peggio, strumentalizzato con metodi al limite dell'atroce. Già, perchè è facile parlare di diritti umani finchè quei diritti tutelano tanto noi quanto le persone che ci circondano: ma tanto facile non lo è più, dal momento in cui questi diritti danno a qualcun altro la piena facoltà di contrastare le idee che portiamo avanti così strenuamente - e a volte, permettetemelo, ciecamente.
Dico ciecamente, perchè nel contesto in cui siamo inevitabilmente abituati a vivere, ci ritroviamo sempre e comunque sotto una vera e propria pressione ideologica che tenta di interferire con la nostra libera capacità di pensiero. Sia chiaro, non sto sminuendo millenni di evoluzione solo per arrivare a dire che l'uomo non è in grado di pensare autonomamente: soltanto, vorrei far prendere atto di come in questi giorni, ma più in generale in qualsiasi epoca, possa risultare semplice farsi condizionare dalle idee altrui.
Ci ritroviamo a vivere in una società dove ormai la televisione va a braccetto col pane, all'ora di pranzo e all'ora di cena. Ci ritroviamo a vivere in una società dove un numero sconsiderato di giornali e testate di vario genere ci sommergono di un quantità disumana di informazioni, spesso contrastanti, fra le quali risulta difficile saper distinguere il vero dal verosimile. Ci ritroviamo a vivere in una società dove le poche informazioni che possiamo osare definire attendibili provengono dalla rete, all'interno della quale è comunque richiesta una notevole capacità di destreggiarsi per non annegare nell'oceano infinito di dati e notizie che circolano, dal senso più o meno compiuto.

Inutile a dirsi, se c'è un mare magnum di informazioni di questo genere, da qualche parte dovrà pur esserci qualcuno che queste informazioni stesse le scrive. Il problema, dunque, non sta tanto nell'informazione stessa, quanto in chi la fa filtrare e in come tenta di farlo. Prendiamo un esempio attualissimo quale la manifestazione del 14 novembre. Fra chi sta leggendo quest'articolo, mi auguro, ci sarà pur qualcuno che avrà i visto i fatti in prima persona e che, leggendo tutta la miriade dei presunti fatti accaduti, si sarà ritrovato a pensare che in ogni singolo articolo c'è almeno qualcosa che non gli quadra. Il problema sta proprio qui, nel saper raffrontare tutte le storie che ci vengono riportate fra di loro e fra la nostra esperienza personale; ed ecco che allora nascono gli articoli contro i black block, contro le forze dell'ordine, contro i metodi repressivi del governo, contro l'esuberanza di alcune parti dei manifestanti e così via.
Senza entrare nel merito della tematica che ho portato solo come esempio, il mio parere è che la verità sta nel mezzo. "Conoscenza è potere", diceva Sir Francis Bacon. "Potere è giustizia", lessi da qualche parte una volta. "Giustizia è verità", ci aggiungo io, per il semplice fatto che, accorciando l'equazione, solo una conoscenza diretta di ciò che ci circonda può permetterci di farci un'idea generale.
Il discorso vale tanto per chi scrive le notizie, quanto per chi le legge, e rappresenta il principio di base per la libertà di espressione quale la intendiamo noi.

Perchè, allora, si può parlare di un errore come di un diritto? Semplicemente per via del fatto che quello che per me è un errore altrui, per l'altro potrebbe senza problemi rappresentare una verità e il conflitto fra due individui dalle posizioni diametralmente opposte risulta insanabile in questo senso, se non con un compromesso necessariamente insoddisfacente per entrambe le parti, ma perlomeno risolutivo. Temporaneamente.

E' la stessa idea che c'è alla base della decisione che ha preso questa scuola durante le mobilitazioni studentesche di protesta contro il DDL 953, in coordinazione a tutte le altre istituzioni del territorio.
L'autogestione che il Liceo Classico Linguistico Marco Tullio Cicerone ha deciso di portare avanti è stata la realizzazione concreta di tale principio: così, come molte altre scuole hanno deciso di manifestare il proprio disagio tramite occupazioni, noi ci siamo sentiti in dovere - essenzialmente verso noi stessi - di far rispettare quei diritti allo studio e alla libertà di espressione per cui ci stiamo battendo. Viene da se che lottare per il diritto allo studio e impedire lo svolgimento della didattica tradizionale, per chi fosse interessato a seguirla, è una contraddizione, così come sarebbe una contraddizione costringere a partecipare anche chi si fosse espresso in maniera contraria.
Ecco perchè, allora, ci siamo organizzati in questo modo. Tre giornate di didattica alternativa, di attività autogestite che hanno visto la partecipazione di un elevatissimo numero di studenti, tutti impegnati tanto a proporre quanto a seguire lezioni praticamente improvvisate sul momento, ma gestite ugualmente bene proprio perchè sentite proprie da quegli alunni stessi che se ne occupano.
La nostra attività si è allora articolata su spiegazioni del DDL, su introduzioni generali a dottrine politiche di vario genere, su raffronti di carattere filosofico fra situazioni simili ma diverse nel tempo, su attività puramente creative e dibattiti di attualità, anche grazie all'intervento di ex-studenti, ora universitari, che hanno messo a disposizione il proprio tempo.

Ed è questo che è stato lo scopo dell'autogestione, dimostrare che fra gli studenti liceali ci sono ancora persone a cui importa battersi per degli ideali, anche in battaglie così dure che si potrebbe dire siano già perse in partenza. Con questi tre giorni abbiamo voluto dimostrare come, da parte nostra, ci sia una tale voglia di fare e di mettersi in gioco che supera qualsiasi barriera anagrafica o ideologica, unendo tutti i cittadini di una scuola sotto un vessillo comune che prende il nome di collettività studentesca.
Rimane, ovviamente, la consapevolezza che non si può cambiare il mondo in tre giorni, per quanto le proprie idee possano essere ritenute buone; e a questa si aggiunge, così spero, la stessa consapevolezza che quello che si sta facendo non può essere universalmente riconosciuto come giusto. Le critiche sono ben accette, purchè siano costruttive e aiutino a porre le basi per quel futuro un po' più vivibile a cui ogni giovane di oggi immagino aspiri; e per di più sono proprio le critiche a dimostrare che un'idea, all'interno dei suoi limiti, ha tanti difetti da riparare quanti pregi da mettere in risalto.
Noi abbiamo lavorato con tutta la passione e con tutta la disponibilità e ci siamo sentiti in grado di fare grandi cose, e il traguardo più grande che abbiamo saputo raggiungere è stato proprio quello di far rispettare quella libertà di espressione che è alla base della nostra esperienza di vita.
Non è stato facile, assolutamente, sarebbe falso dire il contrario. Non è stato facile perchè in qualche modo si cerca sempre di convincere l'altro sulla bontà delle proprie intenzioni e spesso si sfocia nella mancanza di rispetto verso quell'ideologia magari diversa dalla nostra ma che poi, pensandoci bene, non risulta poi essere così fuori dal mondo.
Basta solamente sapersi immedesimare un po' in chi ci sta di fronte e cercare di capire quali possano essere le sue ragioni, anteponendo l'obiettività al proprio mero parere personale.
Ed è per questo che un errore è, e deve essere, un diritto.

Andrea Cristiano, IIIE

Nessun commento: