martedì 7 febbraio 2012

Commercio equo e solidale

Appena squillò la tromba
tutto era pronto sulla terra,
e Geova divise il mondo
tra Coca-Cola Inc., Anaconda,
Ford Motors, e altre società:
la Compagnia United Fruit
si riservò la parte più succosa,
la costa centrale della mia terra,
la dolce cintura d’America.
Ribattezzò le sue terre
“ Repubbliche Banane”,
e sopra gli inquieti eroi
che conquistarono la grandezza,
la libertà, e le bandiere,
instaurò l’opera buffa:
cedette antichi benefici,
regalò corone imperiali,
sguainò l’invidia, e chiamò
la dittatura delle mosche,
mosche Trujillo, mosche Tavho,
mosche Carias, mosche Tartinez,
mosche Ubico, mosche umide
d’umile sangue e marmellata,
mosche ubriache che ronzano
sopra le tombe popolari,
mosche da circo, sagge mosche
esperte in tirannia.
Tra le mosche sanguinarie
sbarcò la Compagnia
stipando di caffè e frutta
le sue navi che poi scomparvero
come vassoi con il tesoro
delle nostre terre sommerse.
Frattanto, entro gli abissi
pieni di zucchero dei porti,
c
adevano indios sepolti
dal vapore del mattino:
rotolò un corpo, una cosa
senza nome, un nome caduto,
un grappolo di frutta morta
finita nel letamaio.
(La United Fruit Company, Pablo Neruda)

Nei paesi sottosviluppati del Terzo mondo operano oggi le grandi multinazionali, società che hanno la loro sede madre in patria e molte filiali all’estero e che sfruttano le risorse minerarie dei paesi del Sud del mondo, detenendo il monopolio della produzione e del commercio di molti prodotti, quali banane, caffè e cacao. Esse comprano grandi appezzamenti di terreno, destinandoli a monoculture, coltivandoli intensivamente ed affidandosi alla manodopera locale poco costosa e sfruttata. I contadini che lavorano per le grandi società infatti non hanno alcun diritto sindacale e lavorano consecutivamente anche per 10-12 ore al giorno in condizioni disumane. Insomma, le grandi società si impadroniscono dei mercati traendone grandi guadagni, mentre le popolazioni del Terzo Mondo di impoveriscono sempre di più, non traendo profitti pur lavorando le proprie terre. In poche parole: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Spesso le multinazionali si inseriscono nei conflitti politici, sostenendo ad esempio governi autoritari o dittatoriali, acquistando la benevolenza del potere pur di accrescere i loro guadagni. Le multinazionali quindi come cause che impediscono lo sviluppo democratico ed economico dei paesi meno ricchi.

La United Fruit Company, citata nella poesia del poeta cileno Pablo Neruda, fu una delle più importanti industrie statunitensi in America Latina che si occupava di produzione e vendita della frutta. Ma essa è una delle tante aziende multinazionali affermate in America Latina, una delle tante che rallenta la crescita degli stati più poveri, una di quelle che sfrutta i contadini sottopagati per vendere prodotti sul mercato internazionale a basso prezzo aumentando gli introiti dell’azienda e degli azionisti. Una delle tante che priva ogni giorno intere popolazioni dei diritti umani che ad ogni uomo dovrebbero essere riconosciuti.
Ma tale problema non è completamente irrisolvibile, c’è una soluzione che spesso non si considera o si ignora. La soluzione si chiama “Fair Trade”, Mercato equo e solidale. Esiste infatti una possibilità alternativa ai prodotti che le grandi multinazionali ci propongo sul mercato, alle grandi “marche” di prodotti che da anni si sono affermate. Ci sono alternative alla Chiquita, alla Nestlè ecc…
Il commercio equo e solidale si propone di riequilibrare i rapporti con i paesi economicamente meno sviluppati, garantendo ai produttori un giusto guadagno e condizioni di lavoro dignitose. E’ una forma di commercio internazionale nella quale si cerca di far crescere le aziende dei contadini economicamente sane garantendo un trattamento sociale equo e rispettoso. Acquistando prodotti del “fair trade”, i soldi del consumatore vanno direttamente ai produttori, ai contadini e alle cooperative locali, che con i guadagni provvedono al soddisfacimento dei propri bisogni, per crescere economicamente e culturalmente. Si possono costruire scuole, ponti, pozzi, mezzi di produzione agricola per un maggiore raccolto.
Bisogna solo scegliere a cosa destinare i propri soldi. Non comprare ad esempio le banane delle “Repubbliche banane”, gestite da multinazionali come Chiquita, Del Sole o Dole, caffè, cacao, tè il cui commercio è gestito dai grandi e potenti azionisti. Comprare i prodotti dell’ uguaglianza e dei diritti. Per questo dovremmo essere fieri che nel nostro liceo ci sarà l’opportunità di poter acquistare merendine destinando i soldi ad una buona causa. Quello che infatti spesso non si pensa è che si può fare molto, anche con i piccoli gesti, per contribuire ad un cambiamento, e questo è uno tanti.
Non vuole sembrare un discorso moralistico: tutti noi spesso dimentichiamo i problemi del resto del mondo, presi dalla quotidianità e dalla nostra vita, non pensiamo sempre, più o meno giustamente, che dietro ciò che mangiamo, ad esempio, si nascondono giornate di lavoro sottopagate di contadini e braccianti del Sul del Mondo. Il devolvere quotidianamente soldi a questa causa aiuta però a ricordare più spesso della nostra fortuna e della necessità del nostro aiuto.
Occorre consapevolezza del proprio agire, anche nei gesti quotidiani.
Frattanto “ entro gli abissi /pieni di zucchero dei porti cadevano indios sepolti dal vapore del mattino: rotolò un corpo, una cosa senza nome, un nome caduto/ un grappolo di frutta morta/finita nel letamaio”.

Greta Mariani

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